DALL’OLIVETTI AL TRIBUNALE VIRTUALE.
STORIA DI UNA PICCOLA SEDE CHE NON VUOLE MORIRE

Olivetti

di Marco Viviani

Non si può raccontare la storia dell’Università di Crema senza accennare a quel che vi ha trovato sede per tanti decenni del secolo scorso: la Olivetti. Il sogno imprenditoriale illuminista del “grande Adriano” aveva trovato terreno nelle vecchie fabbriche autoctone di macchine per scrivere, che diventarono le macchine per scrivere per eccellenza.

Come in un ciclo cavalleresco, quella gigantesca area a nord-est della città muta il proprio destino a seconda dei nemici esterni, cambiano i protagonisti, tutta la comunità risente di questa fibrillazione aggiungendo ogni volta un capitolo alla sua storia.
Era il 1972 quando la Olivetti toccava quota record 3.150 addetti, lo stesso anno del film “La classe operaia va in paradiso” che anticipò il “riflusso”, l’involuzione della condizione dei lavoratori che avrebbe caratterizzato la fine di quel decennio. Formidabili quegli anni. L’Italia aveva una rete manifatturiera che garantiva occupazione, ma soprattutto un’identità. Lo scontro, anche duro, tra lavoratori e padroni era il codice binario dello stesso linguaggio, il progresso. Economico, culturale, umano che fosse, potevi sentire la brezza di uno sviluppo che si credeva inarrestabile.

Venti anni dopo, 1992. La Olivetti dell’assai meno grande De Benedetti chiude. Gli operai a casa sono circa 700. Una sentenza choc che manda in crisi il tessuto sociale di una città, che però non si arrende e si riscatta. Guadagnatasi lo status di area di crisi nel 1995, dopo una febbrile serie di trattative ottiene dallo Stato 10 miliardi, coi quali crea un’agenzia di sviluppo territoriale, Reindustria srl., lancia un contratto d’area per attrarre impresa e parte il Polo Informatico. I rapporti economici cambiano, Crema si terziarizza: meno industria, più servizi; meno operai, più pendolari. Ancora oggi il caso Crema è considerato uno dei pochi esempi virtuosi – e riusciti – di intervento locale/statale in un’area critica in tutto il Paese.

Per venti anni là dove si costruivano le primissime macchine per scrivere elettroniche è cresciuto un Dipartimento di Informatica, con un aula magna di 444 posti, nove aule, 12 laboratori di ricerca, cinque corsi di laurea in discipline informatiche, tenuti da 23 docenti e seguiti da più di 600 iscritti, di cui un centinaio di matricole. A Crema c’è anche l’unico corso di Sicurezza Informatica, secondo alcuni non abbastanza pubblicizzato considerati i tempi.

Ma puntuale dopo venti anni un altro drago all’orizzonte: la crisi dell’Università. Le iscrizioni calano, l’Università di Milano – alla quale il dipartimento fa capo – si vede costretta a riorganizzare le sue sedi (ben 10) e ha in progetto la nuova sede di via Celoria dove potrebbero riunirsi i due dipartimenti, milanese e cremasco, con tanti saluti alla sede staccata che soltanto pochi anni fa è stata raddoppiata. Sarebbe una cattedrale nel deserto.
Anche in questo caso però la città non sta a guardare e nel marzo di quest’anno la sindaca Stefania Bonaldi incontra in via Festa del Perdono il nuovo rettore, Gianluca Vago, il quale fresco di nomina deve ancora capire il quadro della situazione e stimola la competizione di tutte le sedi che fanno la coda nel suo ufficio: «Provate a convincermi del perché dovreste restare aperte».

Detto fatto, a luglio è pronto un dossier di 35 pagine, dove si cerca di accumulare più risposte possibili. La prima e più evidente: la sede di Crema coordina il 40% dei dottorandi e il 30% degli assegnisti, ma produce il 64% dell’intera produzione scientifica del Dipartimento. Cos’è una università, una scuola? Allora la massa di iscrizioni può diventare il criterio principale. Se però si vedesse come un laboratorio, chi merita di continuare a vivere? Chi produce più ricerca.
Per rafforzare questa idea si rilancia sull’offerta formativa, soprattutto sui servizi per l’agenda digitale: digitalizzazione e sicurezza delle PA e anche il progetto Digit Smart, il più ambizioso. Nella città che ha appena dolorosamente perso il suo tribunale (spending review), si pensa a un progetto pilota per il Ministero della Giustizia per un Tribunale Digitale. La gestione online delle pratiche civili è una delle voci più drammaticamente inadeguate dell’agenda digitale italiana e la sede di Crema si candida a testare la tecnologia necessaria.

Mancherebbe soltanto la firma del rettore per continuare la convenzione, ma per quanto? Crema chiede 15 anni, più probabile che alla fine si arrivi a una soluzione all’italiana: conferma per altri 5 anni. «Una conferma breve ovviamente sposterebbe soltanto il problema e non ci permetterebbe alcuna progettualità a lungo termine», spiega la sindaca che presiede l’ACSU, un’associazione pubblica/privata nata per sostenere l’attività dell’Università nel cremasco. «Con una convenzione a medio lungo termine invece si potrebbe progettare l’utilizzo della cascina Pierina (100.000 mq adiacenti all’università) per farne il Campus universitario e promuovere l’università come centro di ricerca. A quel punto la sua esistenza non verrebbe più messa in discussione».

Crema ancora una volta vive in pieno la crisi di una storia e cerca di scriverne un’altra. Stavolta però con un punto a favore: l’Expo2015 della vicina Milano e la forte espansione economica e demografica che ne verrà per chi, come lei, gravita attorno alla metropoli lombarda. Questo porterà più cittadinanza, più impresa e più turismo lungo la Paullese, nel senso inverso ma sempre sull’arteria stradale cresciuta e raddoppiata negli anni del post-Olivetti. Già, torna sempre la fabbrica del grande Adriano. Quanto ci vorrebbe, oggi, uno come lui.

Commenti

commenti

0 Comments

Leave a reply

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>