il bureau - Bobi Raspati - Note Dolenti

di Bobi Raspati

L’ultima spudorata beffa imbastita dal mercato discografico italiano risponde al nome di Zen Circus, un trio becero e conformista venduto come fosse roba trasgressiva. L’agiografia recita il solito adagio: cantavano in inglese ed erano riveriti in capo al mondo, finché la nostalgia canaglia non li ha riportati tra noi. Beninteso che di tale passato non esiste alcuna testimonianza che non sia in italiano e che oltralpe nessuno se li fila (sì, la collaborazione con un decrepito Brian Ritchie ha portato loro qualche sparuta attenzione, ma trattasi di briciole). D’altra parte se l’ispirazione è tutta anglofona e davvero hai talento perché mai rinunciare a un’esposizione globale e tornare all’ovile?

La verità è che gli Zen Circus sono una moscissima cover band di Violent Femmes e Pixies. Visto che è una cover pedestre e a dir poco incolore, la loro ragione d’essere sta tutta in testi politicizzati e italocentrici, trite ovvietà sputateci addosso con l’aria di chi la sa lunghissima e canta fuori dal coro. Inutile cercare un immaginario al di là del più sciatto pensierino da bar, se il disco per qualcuno funziona è solo perché dalle nostre parti gli slogan vanno sempre di moda e gli italiani hanno un disperato bisogno di sentirsi confortati nelle proprie opinioni. Italia ignorante e razzista (‘Franco’), borghesia ipocrita e la democrazia che non va (che coraggio intitolare una canzone ‘I Qualunquisti’…), fino a una irritante quanto ingenua tirata anti-religiosa (‘L’amorale’ irride millenni di dibattiti filosofici come fossero solo idiozie). Un armamentario retorico perfetto per fare incetta di commenti sui social network, ché tanto più voliamo basso meglio è. In linea con la tradizione del gruppo (vedi il precedente Andate tutti affanculo, comunque più ispirato di questa porcata qui), i testi sguazzano nel più puerile turpiloquio — come se dire le parolacce fosse eversivo, quando da Bossi in giù non è che la lingua del potere.

Le immancabili ospitate ingolosiranno gli autorefenziali blog dei nostri giornalisti (la voce tremula di Alessandro Fiori, gli orpelli anti-rock di Gabrielli, un dinosauro chiamato Giorgio Canali e gli imbarazzanti Ministri). Musicalmente inqualificabile e ideologicamente cretino, di dischi migliori di questo ne escono decine ogni mese: a patto che si rinunci ai pistolotti in lingua natia e si provi a pensare con la propria testa.

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