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di Elisabetta Terigi

Nel 2006, quando alle elezioni politiche vinse l’Unione di Romano Prodi, erano quasi tre milioni gli italiani residenti all’estero con diritto di voto. Oggi, i possibili elettori, ossia gli iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), come comunica il ministero degli Interni, sono più di quattro milioni.

Come sette anni fa anche adesso gli espatriati eleggono 12 deputati e 6 senatori. E come sette anni fa il loro voto rischia di essere decisivo per conquistare la maggioranza al Senato. Nel 2006 il centro sinistra vinse con soli 24mila voti di scarto alla Camera e 500mila al Senato e a Palazzo Madama furono i quattro senatori eletti dai votanti all’estero a consentire a Prodi di avere una seppur risicata maggioranza.

Se alle politiche del 2008 il voto all’estero non fu determinante, vista la débacle del Pd e la netta vittoria del Pdl, oggi, come all’epoca di Prodi, la situazione è incerta. Fino a pochi mesi fa, sull’onda del trionfo di Bersani alle primarie, i democratici speravano di vincere a mani basse, ora non è più così.

Gli italiani all’estero sono una minima parte rispetto al numero della totalità degli elettori, ma il loro voto potrebbe essere decisivo: merita quindi tornare sulle discrepanze di quella legge che consente di votare per via consolare ai figli di italiani residenti all’estero, ma non a coloro che si trovano fuori Italia per un breve periodo.

Ad ogni tornata elettorale si punta il dito sui difetti della legge Tremaglia (dal nome del politico della destra italiana autore del provvedimento, Mirko Tremaglia), che dette attuazione agli articoli 48, 56 e 57 della Costituzione e consentì dal 2001 agli italiani iscritti all’Aire di votare per elezioni e referendum in Italia.

Nonostante le ricorrenti lamentele e critiche, da quando è entrata in vigore, tale legge non è stata sostanzialmente modificata. Del resto basta pensare che le feroci critiche di elettori, professori esperti di sistemi elettorali e politici non sono servite a sostituire il porcellum con una nuova legge elettorale, figuriamoci se si poteva modificare la legge Tremaglia.

Ma come funziona il voto per gli italiani che vivono all’estero?

Nei giorni precedenti alle elezioni (quest’anno entro il 10 febbraio) gli iscritti all’Aire ricevono per corrispondenza un plico con schede elettorali, certificato elettorale nominativo e un tagliando con un codice. Il suddetto tagliando va inviato insieme a una busta anonima con le schede compilate e deve arrivare al Consolato di competenza entro il 21 febbraio. Tale sistema serve a mantenere l’anonimato ed a evitare voti duplici o di non aventi diritto. Tutte le schede vengono poi spedite, per via aerea in valigia diplomatica, all’Ufficio centrale della Circoscrizione estero costituito presso la Corte d’Appello di Roma per essere poi scrutinate dalle 15 del 25 febbraio.

Tale sistema però suscita qualche perplessità.

Prima osservazione: in alcuni paesi come la Germania, il plico arriva per posta ordinaria e deve essere rispedito con busta preaffrancata. Non vi è nessun controllo che il voto esprima effettivamente la volontà del cittadino residente all’estero con diritto al voto e che invece non sia stata un’altra persona a mettere la croce.

 Seconda osservazione: un italiano, regolarmente iscritto all’Aire che, proprio nel giorni in cui deve essere recapitato il plico, è altrove, magari anche in Italia, quest’anno con le elezioni a fine febbraio, doveva fare richiesta di poter tornare a votare nel suo Comune entro il 3 gennaio.  Una possibilità importante per tutti gli italiani che sono all’estero, ma viaggiano spesso per lavoro. Tale opportunità però è fortemente limitata a causa delle regole  poco flessibili e talvolta poco compatibili alle effettive tempistiche del mondo del lavoro contemporaneo.

Terza osservazione: nelle circoscrizioni estere non possono votare gli italiani non iscritti all’Aire. Chi si trova all’estero per periodi lunghi ma non definitivi quindi è costretto, come si sa, a tornare al suo Comune di residenza. Esistono agevolazioni economiche, è vero, ma si tratta comunque di un disagio non indifferente. Se poi si pensa agli Stati Uniti, dove gli elettori dopo la registrazione possono ricevere la loro scheda comodamente via e mail o via fax, ovunque si trovino, la situazione italiana sembra ancora più kafkiana.

E infine si dovrebbe considerare anche il fatto che le circoscrizioni estere sono enormi, raggruppano continenti ed è davvero difficile pensare che gli italiani all’estero si sentano DAVVERO rappresentati da persone che non hanno visto né in televisione né dal vivo e di cui sanno poco o niente. È paradossale che per la seconda volta in pochi anni il voto degli italiani iscritti all’Aire da una parte sia poco seguito e garantito e dall’altra rischi di essere decisivo per la vittoria alle prossime elezioni. Così è l’Italia.

 

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Commenti

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1 Comment

  1. Nico febbraio 16, 2013 Reply

    Analisi impeccabile.
    Io aggiungo una “quarta osservazione”, anche più estrema: o si adotta un sistema simil-statunitense, oppure è preferibile eliminare del tutto l’esercizio del diritto di voto per gli “italiani all’estero”, siano essi iscritti o meno all’Aire.
    Per come la vedo io, il voto degli “italiani all’estero” (leggasi quelli che non si ricordano nemmeno più quali siano i colori della bandiera), oltre a falsare la rappresentanza, è oltremodo sconveniente da un punto di vista burocratico. Troppe beghe, pochi benefici.
    Del resto, non si capisce il motivo per il quale chi, come me, vivendo a mille chilometri dal proprio comune di residenza, ma pur sempre sul territorio nazionale, debba sobbarcarsi dieci ore di treno per esercitare un diritto garantito dalla Costituzione, mentre l’italiano all’estero, evidentemente più “figo” di un ricercatore precario come il sottoscritto, viene agevolato in maniera vergognosa
    Come da tradizione italiana, due pesi e due misure.
    Male, anzi malissimo.

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