VW

di Spotting Spots

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Lo spot mette in scena un buffo “consulente riduzioni costi” intento a proporre a un meccanico Volkswagen che sta lavorando sottoscocca l’eliminazione dei protettivi sottoscocca della Polo. Gli argomenti del consulente sono quelli tipici di una politica manageriale mirata alla pura razionalizzazione delle spese: “tanto non se ne accorge nessuno”, “altre auto della categoria non le hanno neanche”, “immagini il risparmio”. Insomma, automobili più economiche ma di minore qualità. Il meccanico appare incredulo: scivolando via lentamente col suo carrello, si defila dalla posizione del consulente, e lo costringe infine a gridare la fine del suo ragionamento. Quindi taglia secco: “ma proteggono dalla corrosione”.

Volkswagen mette dunque in scena un ribaltamento dei ruoli. In un contesto alquanto verosimile, la spending review è appannaggio del topmanagement, che elabora le strategie aziendali e agisce mediante un delegato. È insomma chiaro che il consulente non impersona la Volkswagen – sarebbe come darsi la zappa sui piedi, per così dire, – ma una qualche non meglio precisata politica manageriale che tiene più allo snellimento della spesa che alla qualità del prodotto. È invece l’operaio – questo artigiano dell’auto – che si fa carico di comunicare la filosofia e l’identità Volkswagen: sapienza, cura per i dettagli, qualità e affidabilità dell’auto, indipendenza dalle tendenze di mercato – “altre auto del settore neanche ce l’hanno”. È la cura e la perizia dell’operaio assemblatore che fa la differenza, è il suo amore e la sua dedizione che rendono Volkswagen immune alle tendenze dequalificanti del mercato – qui personificate nella figura del consulente – che vorrebbe ridurre i costi a scapito di affidabilità e solidità del veicolo.

Si mostra il retroscena aziendale come un luogo corrotto dalle dinamiche fredde del capitalismo finanziario, e si affida all’operaio il ruolo di complice dello spettatore. Insomma, anche Volkswagen sarebbe come tutte le altre se non avesse al suo interno un cuore pulsante e appassionato di operai-artigiani che mantengono intatta la filosofia dell’azienda e rifiutano la modernità razionalizzatrice e spietata del topmanagement. Non solo ogni dettaglio in una Volkswagen è frutto di una scelta accurata e orientata al pregio e alle caratteristiche di qualità, ma sono gli operai Volkswagen stessi, coloro che materialmente fanno le auto, ad essere i primi responsabili e gli ultimi depositari della filosofia aziendale.

Ora, proprio in questo ribaltamento dei ruoli si annida la trappola pubblicitaria. La grande casa automobilistica rappresenta se stessa nelle vesti del meccanico diligente, e attribuisce ad altri l’obbligo della spending review, cui però essa – questo il messaggio – si sottrae. Per poter rappresentare l’alternativa e la contraddizione – auto economiche ma senza rifiniture oppure auto di qualità ma a prezzi maggiori – Volkswagen mette in scena la personificazione dei due corni del dilemma, e ne descrive in modo piuttosto didascalico la dialettica. Tuttavia, Volkswagen stessa, per poter veicolare il messaggio (“siamo artigiani dell’auto”), deve assume uno dei due ruoli (quello del meccanico-artigiano) e lascia indeterminato a chi spetti l’onere di rappresentare l’altro (quello del consulente per la spending review). Eppure, a rigor di logica, se c’è qualcuno che è interessato a una politica di riduzione dei costi, questi è l’azienda stessa. Sdoppiandosi, invece, la Volkswagen mette in atto una vera e propria distorsione del funzionamento delle relazioni industriali all’interno dell’azienda, rappresentando se stessa come invece, date le logiche del mercato, essa non può essere. Del resto, il racconto pubblicitario serve proprio a questo: a costruire scenari utopici, in cui l’ultima responsabilità della qualità di un’automobile è indipendente dalle logiche mercantili, e invece riposa esclusivamente sulle qualità artigianali dei suoi operai.

 

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