Sun Ra, Sardegna, Saturno: Sant’Anna Arresi Jazz 2013, cronache dal festival

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Cari amici del Bureau, qui in Sardegna ce la si passa piuttosto bene. Per molti di voi l’estate sarà ormai tragicamente terminata – povera gente che siete, sopraffatti dalle canzonette balneari prima e inghiottiti dal grigiore metropolitano poi (ma non è in fondo la stessa cosa?). Noialtri invece, martiri dell’avanguardia musicale, vi scriviamo dalle bianche rive dell’isola. Cappello di paglia e candore padano arrossato dal sole battente, siamo qui da ormai dieci giorni a seguire il prestigioso festival Ai Confini tra Sardegna e Jazz, che dalla bellezza di 28 anni (ventotto!) illumina i fichi d’india di Sant’Anna Arresi. Quella che segue è la cronaca di queste calde giornate tardoagostane, tutte dedicate alla luccicosa figura di Sun Ra.

Miei adorati, scordatevi yacht e Villa Certosa. La zona di Sant’Anna Arresi è tra le più povere d’Italia, chiusa com’è tra l’area militare di Teulada e la sciagura postindustriale di Portoscuso, un deserto di miniere dismesse e impervi muraglioni di tornanti e rotatorie. Non per questo è però meno bella e seducente. Superate le deprimenti concessioni ai beach bar in stile Ibiza/Fregene e finalmente avvolti dalle dune di sabbia cristallina, la spiaggia di Porto Pino mette i brividi, quando non arsa dalla miseria umana la campagna impressiona, si mangia e si beve ottimamente e la gente è di cuore. Qui capita che nel lontano 1986 il barbuto ristoratore Basilio, conteso tra pesci spada e ascolti spericolati, s’incaponisca e fondi l’associazione Punta Giara. Da lì in poi, ogni estate, il derelitto basso Sulcis esibirà orgoglioso i totem del jazz internazionale. Fare la conta di chi sia passato da queste parti è da restarci secchi. Cecil Taylor, Anthony Braxton, Ornette Coleman, Art Ensemble of Chicago, Max Roach, John Zorn, Steve Lacy, Herbie Hancok, Trilok Gurtu, David Murray, Peter Brotzmann, Evan Parker, Wadada Leo Smith, Giorgio Cruccas, Han Bennink, Hamid Drake, Ken Vandermark, i compianti Michel Petrucciani, Don Cherry, Butch Morris, David S. Ware, e via così. Infine, deliri di un’estate del 1989, financo Sun Ra – scettro interspaziale e synth psicotico. Ma chi paga tanto splendore? La cecità delle istituzioni locali scoraggia e incupisce, e ogni anno finisce che troppe pagliacciate e sagre assortite scavalchino il prode Basilio nelle grazie dei vari assessori alla cultura. Ogni anno il festival vacilla e traballa. Quale immediato tornaconto materiale questa rassegna porti alle tasche dei locali è certamente tutto da discutere. Di sicuro porta però tanta arte, e sarebbe bello riuscire a dismettere gli esausti paradigmi produttivistici e, almeno per una volta, ragionare di mero piacere estetico, di qualità e di idee. Tra disdette e travagli anche a questo giro pare si debba ammainare bandiera bianca. E invece si decide coraggiosamente di partire.

Dopo i tributi ad Albert Ayler e Don Cherry, l’edizione del 2013 è intitolata a Sun Ra. Per voi gente onesta ma semplice, chiarisco che egli è stato un compositore, pianista e sintetizzatorista di Saturno (sebbene alcuni sostengano più banalmente nato in una fetida baracca nell’Alabama). Eretico della stagione d’oro del jazz con una musica religiosa e futuristica, fin dagli anni ’50 è stato capace di suggerire uno strambissimo afflato cosmico all’improvvisazione free così come ai più consueti stilemi del bebop. Visionario e in fin dei conti matto da legare, il suo panafricanismo stellare ha nei decenni influenzato tanto il jazz quanto la psichedelia fricchettona. Insomma, il cast del festival sarà eclettico e deferente. Nota particolarmente lieta, Sant’Anna Arresi Jazz è da parecchi anni paolofresufree – nessun ammiccamento piacione, nessun cascame da aperitivo fighetto, nessuna ammuffita retorica sardista.

Rinunciare agli agi lacustri di Chia, laddove il vostro alloggia e pratica quotidianamente il golf, è una fitta al cuore. Tuttavia, che festival sia, ed eccomi affrontare con piglio deciso gli spettacolosi curvoni che portano a Teulada. Il palco è cinto da un piccolo anfiteatro in granito e si affaccia su un nuraghe meravigliosamente intatto, accanto a una chiesetta sconsacrata. Il pubblico non è numerosissimo, purtroppo, ma si manterrà sulle due-trecento calorose presenze. La serata del 21 di agosto è aperta dall’afrobeat londinese dei giovanissimi United Vibrations, piacevole sorpresa, i quali sfiatano e pestano e infine vociano assieme al pubblico (su tutte la cover di ‘Giant Steps’ di John Coltrane). A metà concerto di Anthony Joseph & Spasm Band, jazz-funk erotomane con testi nobili, salta la corrente: batteria e sax persistono e il parterre si riempie di danze, cosicché nel buio si distinguono gli orrori di uno sgraziato fotografo partenopeo e il culone slovacco di Barbora Patkova, ballerina ipnotica e cantante degli Heliocentrics. Che suonano il giorno seguente, immediatamente dopo gli omaggi crucchi dei quasi omonimi Heliocentric Counterblast (il loro lavoro risulta degno di attenzioni ma un tantino piatto): psichedelici e percussivi, il gruppone inglese sparacchia al cielo una cover della ‘Nuclear War’ di Sun Ra suadente e acida. A fine serata le groupie assediano quel marpione di Shabaka Hutchings, gigantesco sassofonista del gruppo, con grandissimo sdegno della critica – e cioè mio e del canuto Franco Fayenz, il Gigi Rizzi del giornalismo musicale italiano. Ma ci rifaremo.

La giornata successiva è quella più attesa da voialtri amici de Il Bureau. Non tanto per il trio del bassista Joshua Abrams, esaltato dal batterista Chad Taylor in grandissimo spolvero e affossato dalla raccomandata Lisa Alvarado all’harmonium, coraggioso completo rosso anguria e occhialoni alla Kareem Abdul-Jabbar. Quanto invece per i nostri amici Talibam!, dei quali vi ho già parlato svariate volte, e insomma, se non li conoscete ancora è soltanto colpa vostra. Stavolta il duo di Brooklyn, tastiere allucinate e batteria iperbolica, si fa accompagnare dal sassofonista inglese Alan Wilkinson e dall’eccellente trombettista Peter Evans (leader dei Mostly Other People Do The Killing e quest’anno artefice dell’ottimo Zebulon). L’improvvisazione è uno sputazzo patafisico: comicissima e assordante, riporta alla mente le follie della ICP Orchestra e di Mario Schiano in chiave noise rock. Il giorno seguente il vibrafono di Jason Adasiewicz, il sax di Greg Ward e la batteria di Mike Reed riportano alla luce materiale inedito di Sun Ra con piglio catastrofico:

Se questo festival vale tanto, così tanto che mi è pure venuta la voglia di scrivervene, miei cari, non è soltanto per la preziosissima musica in esclusiva europea o mondiale, nemmeno per i galloni di Carignano tracannati e nemmeno per la veranda del ristorante La Perla, saggiamente rivolta verso i promontori di Sant’Antioco baciati dai tramonti estivi. Non è nemmeno per le linguine di mare della munifica Peschiera e nemmeno per le nottate passate davanti al bar Nazca a fumare limoni, e manco per il rognoso gatto Malcom, poveretto. Ma perché i musicisti stanno benissimo a queste latitudini, e allora suonano bene e si divertono un sacco. Come gli adorati Talibam!, per esempio, che organizzano un dj set in piscina, invitano tutti e poi non si presenta nessuno, ma loro continuano imperterriti a rappare. Ecco una testimonianza del loro Pool Party dataci dal bravo Andrea Murgia di Punta Giara: grazie Andrea, ma la prossima volta metti dritto il telefono e statte zitto.

O come il cornettista e compositore chicaghese Rob Mazurek, uno dei nomi più importanti e conosciuti del jazz contemporaneo, che ama questo festival talmente tanto da essersi sposato a Porto Pino, che a Basilio ha dedicato un pezzo (‘Basilio’s Crazy Wedding Song’, nell’ultimo Sao Paulo Underground), offre birre a destra e a manca e si mette persino a spazzare per terra, con quel pancione che si ritrova. La moglie, l’adorabile Britt, parla ossessivamente di bottarga e alla fine mi riempie di cd, aggratis.

Rob suona così per tre serate di fila: nella prima ecco il trio Sao Paulo Underground, tropicalia ed elettronica, seguito dagli adagio milesiani del più classico quartetto Pulsar e dalla grandiosa Exploding Star Orchestra – tra gli altri, Chad Taylor e John Herndon dei Tortoise alla batteria, un esplosivo Matthew Lux al basso e l’artista Damon Locks, ballerino eccezionale, voce e campionatore, con partiture scritte apposta per il festival.

Una settimana è passata, e la sentiamo tutta. Il peregrinare del laconico Basilio si fa sempre più meccanico e ostinato, i chinos rossi di Fayenz sempre più sgualciti, il gatto Malcom non se lo fila nessuno manco per sbaglio. Il grande ospite dell’ottava serata sarebbe Cecil Taylor, che però sta male e annulla all’ultimo le sue due date europee (auguri, maestro!). La sostituta è una spaventatissima Angelica Sanchez, già al piano nelle due serate curate da Mazurek: lunare e mellifluo come l’occasione richiede, il suo solo convince tutti (tranne suo figlio tredicenne, maglia di Balotelli sulle spalle e capoccia inchiodata su Candy Crush). Segue il grandissimo poeta e critico Amiri Baraka alle prese con versi e memorie dedicati a Sun Ra, accompagnato dai toscanacci Dinamitri Jazz Folklore Septet alle prese con le proprie barbe (e con una formazione a mio avviso un po’ pasticciata). Decisamente più fedeli alle partiture di Sun Ra e allo spirito del festival sono i turchi Konstrukt, con un set poliritmico assatanato e l’ospitata dell’ottantanovenne Marshall Allen, leader della Sun Ra Arkestra. Decisamente sconcertante è invece l’esibizione della band dell’artista sardo Pinuccio Sciola, intagliatore di pietre sonanti che trasuda spocchia e finanziamenti regionali. Prima di accarezzare ispirato pietre e pietroni, il maestro ci spara addosso un interminabile delirio a base di guerra in Siria e pietre, Sun Ra e pietre, cosmo e pietre, memoria e pietre. Dopo di che pietre, pietre e ancora pietre. L’idea e certi suoni saranno pure intriganti, ma da quant’è che ce le troviamo tra i piedi, ‘ste maledette pietre? E perché mai dovrebbe interessarci una partitura così, se i poveri musicisti/strofinatori non possono far altro che ricalcare musica già scritta per strumenti convenzionali? Il fatto che i suoni provengano dalle pietre dovrebbe per caso rendere più autentica e dunque significativa la musica prodotta? E perché mai buttare sul palco un attore seriosissimo a recitare con tanta enfasi le poesie di Sun Ra, musicista eccezionale ma scrittore pedestre? Il finale, col maestro Sciola a profondersi in tre interminabili assoli di pietra, sfonda le soglie del ridicolo e alleggerisce un pochino, seppur involontariamente, il tono mortifero della serata.

Esausti e provatissimi, ecco il gran finale: la Sun Ra Arkestra guidata da Marshall Allen. Ora, se ci si è tanto interrogati riguardo alla natura divina del buon Sun Ra, è più che certo che i suoi musicisti siano essere umani, e come tali dediti alle più sconcertanti e calorose bassezze. Si racconta infatti che i vecchietti abbiano messo a soqquadro il tranquillo paese sulcitano, e che per due giorni abbiano bevuto e magnato in abbondanza, attentando in più occasioni al frigo dell’organizzazione. Si presentano sul palco in evidente stato confusionale, coi soliti costumoni metalizzati. Ballano e pestano per un’ora e mezzo, compiono il rituale giro di campo, ci fanno divertire ma pare abbiano la morte nel cuore. Rispetto al Sun Ra che tutti amiamo il loro set è accomodante e burlone, scarsamente propenso alle derive elettroniche e solo incidentalmente astrale. Il bis della topica ‘Space is the Place’, con tanto di svarioni da parte del batterista, atterrisce: comunque sia una bellissima serata, che ci ricorda che la buona arte sopravvive alla carne e alle cedevolezze dell’animo nostro. E che uno stuolo di tamburi e tamburoni mettono sempre di buon umore.

E mò settembre, e tutti a casa, col cuore in pace e le suole sfondate. Morale della favola? Il festival di Sant’Anna Arresi è una perla rara, un’eccellenza a livello mondiale e va assolutamente preservato. Sappiamo già che il prossimo anno (si vocifera un tributo al gigante gentile Butch Morris) i problemi saranno sempre gli stessi: amministrazioni pubbliche cieche e sorde nonché l’indifferenza del turismo di massa – anche quello dei festival culturali. Che fare? Da una parte sarà forse da rivedere la struttura del festival stesso (e magari ridurre il numero di serate), dall’altra contattare l’associazione Punta Giara e diventare socio sostenitore. Amici belli, fatevi una bella vacanza in Sardegna, sono certo che non ve ne pentirete affatto.

Bobi Raspati

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4 Comments

  1. Mario Gamba settembre 3, 2013 Reply

    articolo spettacoloso. non si può trovare di meglio, impossibile. e sul piano critico è acuto, molto. sono d’accordo su quasi tutto, pure sulla moglie di Abrams, ma il trio è stato abile a trasformare la sua insipienza in ottima musica. pure sulla cialtronaggine dei virtuosi dell’Arkestra, però anche loro sono stati abbastanza furbi e bravi (certi passaggi d’assieme nei pezzi swing bisogna ammirarli, o no?) da farci godere veramente. ma i pareri critici non contano niente in confronto alle mirabilie dello scrittore. a proposito: chi si nasconde dietro la firma? o sono io che non conosco una vecchia volpe del giornalismo, ed è piuttosto probabile?

    • Bobi Raspati settembre 11, 2013 Reply

      Caro Gamba, lei mi lusinga. Il trio di Abrams non mi è dispiaciuto affatto ma mi è parso un po’ squilibrato – evviva i bordoni, ma lei era davvero troppo timida e vaga. Riguardo all’Arkestra, pienamente d’accordo: non sarò certo io a condannare l’ubriachezza scomposta o la paraculaggine, e nemmeno le sbavature nell’esecuzione. Anzi, mi sono divertito un sacco. Non sono una vecchia volpe del giornalismo, ahimè, ma forse una volpe e certamente sulla strada della vecchiaia. La ringrazio tantissimo, e mi auguro riusciremo a conoscerci al prossimo festival.

  2. Lisa Alvarado settembre 19, 2013 Reply

    Bobi Raspati.. a fox? -Really? “Kareem Abdul-Jabbar”! People have different tastes, come from different locations and musical backgrounds…this is clear… it does not mean you must be so insulting. How do you feel about Sun Ra’s goggles?

    • Author
      Bobi Raspati ottobre 2, 2013 Reply

      Hey Lisa, I’m sorry you felt offended by my review. I guess you should anyway take it easy. Reading the article with any sort of automatic translator wouldn’t probably help you getting the overall spirit of it – just to let you know, it’s simply quite humorous. As you really had huge transparent glasses such as the good old Kareem, I can’t see how you’d reckon I’m ‘so insulting’ – I’ve likewise mentioned about Rob Mazurek’s big belly and Arkestra’s attempts to grab beers from the crew fridges. Just to make it clear, these are not critical remarks but only stylistic stratagems to make the article more engaging and lively to those who were not there. I didn’t say your contribution on the harmonium has been modest because of the glasses or of the watermelon dress, just that you’ve been quite hesitant and I thus felt the trio slightly disorganic. But yeah, this is merely my opinion. I have no concerns about your outfit – if you really want to know, I think Sun Ra’s goggles were truly ridiculous and consequently amazing.

      Hope you had good time in Sardinia as we all did.

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