il Bureau - Socrates

di Alberto Gioffreda

Non se ne trovano più calciatori del genere. Il massimo che si può pretendere è qualcuno che dica «fare beneficenza è una cosa giusta». Per il resto è solo «siamo un bel gruppo», «la squadra deve migliorare», «pensiamo alla prossima partita». Guai a fare una domanda che vada oltre il gioco, anche quando dalla curva scendono giù cori contro un giocatore di colore, quando appena fuori dallo stadio ci sono scontri o morti. Personalmente, dopo una partita, la cosa migliore da fare è cambiare canale, al massimo aspettare che ripassino i gol.

Socrates, ‘Il Dottore’ per la sua laurea in medicina, ‘O Magrao’ per il suo metro e novanta e pochi muscoli, oggi non avrebbe potuto giocare al calcio per tanti motivi. Troppa tecnica e poca corsa, nessuna propensione all’allenamento e tanta alla birra e alle sigarette. Ma forse in campo non sarebbe mai sceso perché avrebbe lasciato lo stadio al primo ‘buuu’ razzista e intervistato avrebbe messo in crisi la sua società con dichiarazioni che ai giocatori sono vietate. E forse, con il suo stile di vita, non si sarebbe rassegnato a giocare tre volte a settimana perché lo vogliono le tv. Pensatelo in settimana a lavorare con un Mourinho, un Capello o un Conte. Il suo futbol compassato fatto di tacco ed estetica contro l’ossessione della vittoria.

E’ stato un diverso, ma non solo perché aveva letto Gramsci o ammirato il Che. La ragione principale è che ha pensato il calcio per quello che era: un gioco. L’importante era tutto il resto. E se poi il calcio può servire a dare fastidio alla politica dei militari nel Brasile degli anni’80, lui si inventa la Democrazia Corinthiana. La squadra è autogestita dai giocatori, niente ritiri, gli undici titolari votati dai compagni. In quel Brasile la democrazia c’è solo nello spogliatoio del Corinthians. E’ un modo per dire ai brasiliani che ci si può ribellare alle autorità e anche vincere, come il Corinthians che porta a casa due campionati.

L’esperimento finisce quando lui arriva in Italia, a Firenze. Dopo aver segnato un gol all’Italia dell’82, da capitano del Brasile più bello e perdente della storia. Non si adatta alla pressione, lo prendono per un sessantottino poco professionista e ritorna in Brasile, dove è arrivata anche la democrazia. Il resto è storia recente, fatta di ancora più luppolo e più fumo. Ai giocatori di oggi non si chiede di essere come lui. Anche perché di esempi controcorrente ce ne sono stati, per diversi motivi: Ezio Vendrame, Gigi Meroni, George Best, Mattias Sindelar, i fratelli Starostin.  Ogni tanto però sarebbe confortante rivedere qualcuno di diverso.

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