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di Alberto Gioffreda

C’è qualcosa che non va nello spettatore cinematografico italico. O almeno in quello bolognese. O meglio ancora in quello bolognese frequentatore degli esclusivi cineclub. Il fatto è questo: per nove giorni (dal 30 maggio al 7 giugno), nel cineclub Lumiere di Bologna, The Tree of Life, il film di Malick vincitore dell’ultimo festival di Cannes, è stato proiettato al contrario. Avete capito bene. Rulli, in lingua originale ma con sottotitoli in italiano, giunti a destinazione con etichette invertite e il logo della distribuzione che è apparso dopo trenta minuti. E ancor più surreale il fatto che nessuno, tra i responsabili del cineclub o tra i paganti il biglietto, se ne sia accorto. Qui a Bologna, per una settimana, non si è parlato d’altro. E potete anche immaginare con quanta ilarità, (ma anche sulla stampa nazionale, vedi Gramellini e Mereghetti, con lo stesso tono).

Personalmente ho tentato di immaginare l’andamento dei fatti, prima, dopo e durante l’accaduto.

Prima del fatto: Il direttore del cineclub, Giuseppe Bertolucci (fratello di Bernardo, con cui ha anche scritto la sceneggiatura di Novecento, regista a sua volta, quindi uno che di cinema se ne intende) che dopo aver saputo di essere riuscito ad avere la pellicola per il suo piccolo club di intellettuali, si autocomplimenta giorno e notte guardandosi allo specchio. Gli spettatori. Li immagino come tanti piccoli replicanti di Enrico Ghezzi. In fila per entrare in sala dicono: “Pare che sia così visionario”, e poi aggiungono, tra i loro pensieri “Ma figurati se io non sarò in grado di capire Malick di cui ho visto tutta la filmografia, persino il suo primo cortometraggio”.

Proiezione: Silenzio assoluto. Qualche donna che ogni tanto si lascia scappare un commentino su Brad Pitt, appena sussurrato però. Il marito (o meglio compagno, tra intellettuali è meglio) che per difendersi accenna al passare del tempo anche per l’attore. Per il resto sguardi estasiati. (L’espressione all’uscita del logo di distribuzione prima ancora che finisse il primo tempo non so come descriverla, forse a quel punto qualcuno avrà pensato di trovarsi di fronte ad una nuova avanguardia).

Uscita sala e ritorno a casa: Mormorio. E poi la sensazione di aver visto un capolavoro. Di poter vantarsi un’altra volta dell’operato del cineclub, di quella piccola cerchia, iscrittisi nel 1969, quando erano i soli a guardare la Nouvelle Vague, prima che diventasse volgarmente popolare e di moda. La telefonata del giorno dopo all’amico ideologo del surrealismo che al cinema non è potuto andare: “Immenso, chapeau a Malick, a Cannes sì che ne capiscono di cinema”.

Dubbio amletico personale: Siamo di fronte ad una massa di rincoglioniti frequentatori di salotti, amici di scrittori raffinati e artisti onirici o semplicemente una dormita collettiva del genio e dell’intuito quotidianamente dimostrato da questi signori? Di certo so che con loro, qualunque regista pronto ad usare il flashback (ops, pardon, volevo dire analessi) rientrerebbe nell’Olimpo degli Dei.

Commenti

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5 Comments

  1. Scott Parker giugno 23, 2011 Reply

    Oh sì mi fa godere un articolo del genere!!
    La domanda è anche un’altra: il film di Malick era talmente una cagata pazzesca che si poteva benissimo proiettare al contrario, nessuno avrebbe notato la differenza?

  2. Riccardo giugno 25, 2011 Reply

    Ho letto l’articolo con piacere, pur discordando su (quasi) tutto. Suggerisco, dunque, un’altra lettura interessante:
    http://valentinamente.wordpress.com/2011/06/15/malick-the-bologna-cut/
    In definitiva non mi sembra si possa criticare chi non si è accorto che il film fosse al contrario: tu te ne saresti accorto? Piuttosto mi sembra criticabile la tendenza che in Italia c’è a irridere frequentatori di cineclub e intellettuali. Quasi come se ci si dovesse vergognare di essere “intellettuale”. Io, scusatemi, non ci trovo niente di male a non appiattirsi a cine panettoni, commedie trash e banalità del mercato cinematografico nostrano (e non solo).

  3. Valentina giugno 25, 2011 Reply

    Riposto un commento di facebook a questo proposito: “Forse io pure sono un cinefilo snob. Ma. Potrei guardare Tetsuo o 2001 al contrario (due film “mostruosi” apparentemente agli antipodi), magari non ci capirei nulla, ma non potrei rimanere insensibile alla potenza della visione. Il “senso” espressivo delle immagini di un grande regista rimane comunque. Specialmente in un film come quello di Malick, in cui il “contenuto” è ben poco esoterico (non è mica Jodorowsky), ma è anzi ingenuo, elementare, persino risibile, ad essere cattivi. Quindi, anzi, forse a guardarlo al contrario ci guadagna”.

  4. Author
    Alberto Gioffreda giugno 25, 2011 Reply

    Non volevo assolutamente deridere la categoria degli intellettuali, però a volte mi viene da pensare che più che esserlo in molti credono di esserlo solo perchè non vedono il cinepanettone (io per esempio in questa trappola del non vedere il cinepanettone e quindi considerarmi migliore di tutti quelli che ci vanno ci casco puntualmente ogni anno e lo farò per tutta la vita)…l’intellettuale in questo caso è Malick, che con il suo film esprime una sua idea, una sua visione delle cose…chi lo va a vedere è solo spettatore, al massimo un critico (in questo caso cinematografico) che ne può discutere quanto vuole ma senza l’arietta da chi ne sa più di Malick stesso.

  5. Author
    Alberto Gioffreda giugno 25, 2011 Reply

    P.S. @Cavaliere: ho letto il pezzo che hai postato, io ho saputo un’altra versione dei fatti, la questione del logo pare sia durata 4 giorni, almeno così ha riferito chi si occupa della pagina della cultura qui (uno di quelli che è andato a vederlo montato male), una questione di fonti, non ti saprei dire.

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