Pierlu Bersani

di Alessio Dell’Anna

Bersani proprio non ce la fa. Sono passati solo cinque mesi da quando il PD non è più all’opposizione, e al comprensibile stordimento iniziale è bastato poco che subentrasse subito una sbornia da pranzo domenicale; di quelle brevi ma pesanti, quando ti abbotti felicemente di carne rossa e Nero d’Avola, e poi ti ritrovi il lunedì successivo completamente rincoglionito.

Si direbbe che il PD, nonostante non navighi più nelle acque tempestose di due anni fa, non abbia ancora imparato a vincere. La conferma arriva, l’ennesima, a questa tornata di elezioni amministrative. Lo show inizia martedì pomeriggio, in conferenza stampa. Il “Pierlu” brandisce il fogliettino coi risultati del voto, e orgogliosamente dichiara “Abbiamo vinto”. Ripetiamolo: “Abbiamo vinto. Senza se e senza ma”. Il tono è tronfio e ribollente di superiorità, il foglietto è mostrato con la sicurezza di chi è forte dei dati alla mano, quasi con fastidio, come se non ci fosse nulla da spiegare.

Siamo proprio sicuri che non ci sia nulla da spiegare? Come minimo, di fronte a questi dati l’elettore medio si fa due domande: che cosa ha vinto il PD, e contro chi?
Proviamo a ragionare un attimo; di fronte al collasso del PDL e della Lega (persa in mistiche traversate del deserto come gli ebrei d’Egitto) il partito di Bersani non ha preso a occhio e croce neanche uno straccio di voto. L’unico partito che ha vinto è stato in realtà quello, spaventoso, degli astensionisti, e nell’unico caso in cui si è dovuto confrontare con una vera novità (Parma), il PD è stato incredibilmente surclassato. Dunque di quale vittoria stiamo parlando?

Ma del resto le vittorie non vinte sono il più grosso pacco politico che il partito di Bersani sta cercando di vendere in Italia dai referendum del 2011 a oggi. Azzardando un paragone calcistico, ricorda un po’ l’Inter, quando in quella torrida estate del 2006, quella di Calciopoli, si vide assegnare uno scudetto nelle aule di tribunale e uscì subito dopo a sbandierarlo come la vittoria del secolo, scatenando immediatamente le antipatie di tutte le altre tifoserie d’Italia: una vittoria sì, ma che vittoria? Questo PD è proprio come quell’Inter; certo, ferita da anni di ruberie e torti arbitrali, ma incapace, nel momento della vittoria, di esultare con la compostezza di chi in realtà non merita, e di prendere atto di ciò che è stato e voltare pagina con umiltà. Il PD non piace agli italiani perché è proprio come Bersani che brandisce quel foglietto: dannatamente ottuso e supponente. Con la delusione di chi nel 2008, me compreso, ci credeva davvero.

Dare una grande identità alla sinistra moderata, costruire un’alternativa di lungo periodo al modello berlusconiano. Tutto questo è svanito. Cambi di leadership, alleanze a dir poco travagliate, incertezze e mancate prese di posizione ne hanno fatto dopo breve tempo un blob auto fagocitante votato all’autodistruzione.

L’ennesimo esempio viene ancora da queste amministrative, proprio a Palermo, dove il neo sindaco Leoluca Orlando si esprime con toni a dir poco sprezzanti (per usare un eufemismo) nei confronti della precedente amministrazione, ma soprattutto dei suoi alleati. “Sparare su Lombardo sarebbe come sparare sulla croce rossa, e sulla croce rossa in questo momento ci sono il PD e Vendola”. Se il PD crede di andare al voto così nel 2013, tanti auguri. Il fatto di non aver voluto vincere sulle macerie dello Stato –cocktail che ci è stato propinato fino alla nausea- non vuol dire affatto aver conservato automaticamente il bonus per la prossima tornata, come si faceva alle giostre da piccini.

Eppure boh, mi aspetto che almeno in serata qualche dichiarazione più realistica e sensata venga fatta. A Otto e Mezzo c’è l’onorevole Rosy Bindi; dopo le pontificazioni di Orlando e Bersani è quello che ci vuole. Convinta di giocare in casa però, la presidentessa del PD si presenta con la stessa tranquillità di chi si appresta a fare una passerella. Si accorgerà ben presto che due vecchi volponi come la Gruber e Paolo Mieli non la lasceranno uscire dallo studio indenne. In collegamento c’è il nuovo sindaco di Parma, Pizzarotti, e ovviamente viene messa sul piatto la vittoria dei Grillini nella città emiliana. Incalzata, la Bindi, come da copione, si barrica dietro alle solite quattro frasette già scritte: Parma viene da un decennio di amministrazione sciagurata, è stato un voto di protesta, e tanti altri eccetera eccetera. Ma quando avverte appena un po’ la sensazione di essere messa alle strette, ecco che inizia a sparare alla cieca: dice che il voto di Pizzarotti è stato un voto trasversale, come se fosse un’aggravante e non un merito; gli si rivolge coi toni di sufficienza di chi dall’alto vuole insegnare a fare il mestiere a un giovane praticante, e si mette a recitare a memoria i peggiori slogan di Grillo con la stessa boria di una scolaretta abituata ai 10 in pagella.

Alla fine rischia quasi di litigarci, ma il neo-sindaco di Parma risponde con una signorilità e una pulizia alla quale la politica non è più abituata. Ecco diciamolo, la campagna elettorale di Grillo a supporto dei suoi candidati è stata, contro tutte le aspettative, signorile. Chi si aspettava i soliti urlacci, i vaffa e gli insulti, è rimasto largamente deluso. Semplicità, concretezza, ed economia sono state le armi di questa vittoria. Parma è stato il record dell’affluenza elettorale, e la vittoria dei Grillini con il 60% delle preferenze parla da sé.

Nonostante questo, l’apparizione della Bindi dimostra ancora una volta come il PD consideri questo elettorato alla stregua del popolo dei Gremlins: una comunità più o meno fantastica, nascosta in qualche caverna, nelle foreste di un pianeta ai confini del sistema solare. È un elettorato che invece esiste, ed è un elettorato consapevole, informato, che viene dai blog e dall’informazione digitale, vaccinato per di più da vent’anni di esperienza berlusconiana. Nessun paragone con la Lega della prima ora regge. Ovviamente nessuno si metta a pensare ora che il Movimento Cinque Stelle vincerà le prossime elezioni; quello che infastidisce è però l’arroganza con cui il PD sostanzialmente non si sforzi neanche di considerare, questa nuova, e corposa, schiera di elettori lasciati allo stato brado dall’incompetenza della politica.

Certo, un partito che non è neanche capace di guardare in casa propria è impensabile che possa farlo altrove. Inutile ricordare come la questione “rottamatori” continui a passare sotto silenzio; guai a parlarne, o soltanto a pronunciare la parola proibita –primarie-.

La trasmissione va poi avanti, la Bindi cerca di recuperare terreno facendo finta che non sia successo niente, ma quando Mieli la ferma, nel mezzo dei suoi deliri, e le dice “Dia retta a me”, è l’orgasmo puro. Il tripudio dell’igiene mentale. L’ex direttore del Corriere stoppa i trionfalismi e la mette saggiamente in guardia: ricorda la disfatta del 1994, Onorevole? Una sinistra sicura di vincere che, anche lì, gareggiava sulle macerie del paese, si è ritrovata clamorosamente sconfitta. Certo, per far sì che un evento del genere si ripeta ci vorrebbe un vero e proprio cataclisma, un coup de thèatre, come diciott’anni fa.

All’attuale stato delle cose è impensabile. Ma siamo proprio sicuri che questo PD, così arroccato nelle sue posizioni, sordo ad ogni cambiamento, e confuso da sempre nella torbida ragnatela delle alleanze, non sia capace anche di questo capolavoro?

Commenti

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2 Comments

  1. giovannisegre maggio 23, 2012 Reply

    complimenti!
    guardando la trasmissione 8 e mezzo ho provato la stessa sensazione di fastidio verso quella vecchiaccia che dovrebbe rappresentare il popolo del PD e che non se ne va in pensione. Nella mia romanita’ ho commentato con un molto meno approfondito ‘ammazza quanto sta a rosica”, pero’ direi che ci siamo. Sarebbe ora che le cariatidi come la Bindi, D’Alema e tanti, ma tanti altri andassero in pensione, scrivessero saggi e semplicemente passassero il tempo a giocare con i nipotini. Condivido tutto dell’articolo, dai giudizi di stile su Pizzarotti alla sottintesa ammirazione per questo nuovo arrivato che e’ il M5S.
    giovanni

    • Alessio Dell'Anna maggio 25, 2012 Reply

      Giovanni, innanzitutto ti ringrazio dei complimenti. Sono d’accordo con te sul fatto che bisogna porre particolare attenzione al problema del rinnovamento della classe dirigente italiana. Abbiamo politici che sono letteralmente invecchiati in Parlamento, passando per due, in alcuni casi tre generazioni elettori: definire questa come un’anomalia del nostro sistema è poco. Una normativa che impedisca di ricandidarsi dopo un tot di legislature al momento ci sembra pura fantascienza (così come la stessa riforma della legge elettorale, quella del finanziamento pubblico dei partiti ecc..), ma non sarebbe sensato se almeno all’interno dei partiti venisse avviato un dibattito serio e razionale in questo senso? Io credo che in vista del 2013, col rischio concreto di sparire per sempre dalla politica, prima o poi saranno costretti a ragionarci seriamente.

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