SE…ALLORA

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di Matteo Pelliti

Lapis #19 (sulle identità causali)

Si è molto diffuso negli ultimi tempi un giochino aggregativo, sui socialnet e fuori (ammesso che esista ancora un “fuori” e che la metafora spaziale sia sempre praticabile) della forma “sei di X  se…Y”, dove per X può intendersi un luogo geografico (dalla regione al quartiere di una città, fin quasi alla strada, al condominio di una strada…) e per Y un “modo”, una variabile che va dall’ambito linguistico (modo di dire) al comportamento, al riconoscimento di caratteri propri di quell’insieme definito dalla prima variabile X. Su facebook non si contano i gruppi, aperti e chiusi, che censiscono l’inclusione strapaesana. L’affiliazione ha sempre, poi, qualcosa di commovente, e vagamente passatista. Una variante, infatti, è costituita dalla nostalgia per un tempo passato mitizzato (merendine, cartoni animati, rapporti umani non virtuali, oggetti di modernariato…) che viene cantato attraverso l’elencazione di prodotti, commerciali e “culturali”, il cui ricordo costituisce la forma di adesione alla comunità potenziale. Archetipo del meccanismo la fortunata serie di “Noi che…” (libri/tormentone di derivazione televisiva) di Carlo Conti, poi rimasticati prontamente in salsa commerciale (vedi, ad esempio, lo spot di un caffè). Passatismo, localismo, vertigine della lista sono gli ingredienti che si intrecciano in questo format della memoria, modulabile a piacere nell’arco temporale (gli anni Sessanta, oppure gli anni Ottanta e così via) o, come si è detto, in quello geografico (Sei di Casalpusterlengo se…).

Il meccanismo dell’identità causale  (-> se…allora) contiene, per me, sempre qualcosa di potenzialmente “razzistico”. Il localismo ha vinto, fuori dalla politica, perché ha vinto nel linguaggio, nella rassicurante forma della freccia implicativa della causalità identitaria che ci fa sentire “parte di”, aggregati, comunità ristretta. Le endorfine sprigionate da questo riconoscimento/autoriconoscimento nel recinto stretto del particolarismo sono difficilmente misurabili. Ma certamente presenti, se guardiamo alla periodica proliferazione del meccanismo inclusivo. Ogni inclusione, va da sé, è un meccanismo di esclusione. Ogni recinto identitario rassicura, protegge, delimita. E imprigiona. Scegliere un’identità causale al posto di una identità relazionale è cifra di molto “farsi comunità” nel presente. Non mancano, infine, le forme ironiche (Sei renziano se…) che, spostate nella fattualità del reale, hanno esiti grotteschi (leggi: banali rimpasti di governo, di giunte regionali, comunali…etc.).

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