il bureau - quant'è bello essere gattopardi deomocratici

di Marco Viviani

I primi cristiani credevano che la terra fosse piatta e hanno bruciato i libri dei matematici greci. I barbari misero a ferro e fuoco il Sacro Romano Impero. Gli illuministi presero il Seicento di Shakespeare e il Trecento di Dante e lo buttarono a mare, applaudendo un cambiamento che in poco tempo avrebbe cominciato a ghigliottinare persone; e per dirla con Tomasi di Lampedusa, ai gattopardi siciliani sostituirono le iene romane e piemontesi. Perché tutto cambiasse affinché non cambiasse nulla. E lasciamo perdere certi tentativi di ingegneria sociale del secondo 900.

Poi, però, i “nuovi” si ingentiliscono, capiscono, assumono qualità dirigenziali, quasi sempre anche si corrompono, si rammollano, si estraneano. E allora sotto coi nuovi barbari, che non capiscono un accidenti ma hanno il sangue più fresco …
È la Storia.

Diciamola tutta: più passano questi tristi giorni di “Weimar all’italiana”, con un Bersani intento a dialogare con parti sociali che non rappresentano più nessuno, partiti e movimenti che lo insultano, colleghi votati al suicidio delle larghe intese, più sentiamo che il Belpaese è ancora una volta l’avamposto del nuovo peggio. Ancora una volta è la Storia. La democrazia come la conoscevamo (ed è stata una grande democrazia) sta finendo e con lei la cultura che la sottendeva. È come la pietra di San Michele cantata da Ungaretti: prosciugata, refrattaria, totalmente disanimata.
Al suo posto, questo miscuglio di democrazia diretta, demagogia, web, merchandising, che è orripilante, ovvio, ma un giorno troverà una sua forma più civile. Solo che io sono un gattopardo, non una iena. E fino all’ultimo la difenderò, la mia democrazia. Non mi metto a controllare le scie chimiche, o a dire no all’Europa, a quasi quarant’anni.

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