Violenza e sacro

di Simon F. Di Rupo

“Il sacro è la violenza.”
(René Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo)

Vivere in una provincia in ritardo culturale ha il grande pregio, talvolta, di far vivere in ritardo anche i disagi sociali ben diffusi altrove. E’ il caso di Perugia di questi giorni, la città che vivo e che mi fa vivere. Vivere come?
La situazione ormai incontenibile riguardo il pieno possesso del centro storico da parte di forme di delinquenza relative allo spaccio di stupefacenti (o questo almeno è il sinistro che si attribuisce loro in primis) ha ormai reso esplosiva, nei mezzi di comunicazione attuale, la reazione dei cittadini. E’ giunta agli sgoccioli, a quanto risulta, l’indignazione per pugnalate, sparatorie, disordini e risse in orari di ogni tipo, unita al disprezzo per il lassismo di forze dell’ordine ritenute sotto scacco dagli attori principali dello strappo sociale ed estetico del centro città.

Usciamo per un istante dalla palese emergenza, e immergiamoci in toto nella violenza della nostra acropoli come dinamica storica. Un esempio rapido dei precedenti bellicosi e terribili della città per la spartizione di poteri: lo scontro fra Oddi e Baglioni, correva il 1500 quando l’apoteosi della faida scaraventava in piazza i suoi cadaveri. Addirittura ne tratta Oscar Wilde nel suo Ritratto di Dorian Gray (1890), ma anche il premio nobel francese Romain Rolland nel suo Les Baglioni (1891) e Gabriele D’Annunzio, che dedica a Grifonetto Baglioni alcuni versi negli otto sonetti perugini della Città del silenzio (1902).

La città del silenzio. Mai nome più evocativo. E’ possibile nutrirsi di storia presente e passata e  riflettere oltre lo sgomento e l’attivismo, comunque legittimi? Dalle prime reazioni di questi giorni dei cittadini una suggestione sorge spontanea.

Oltre alle più o meno legittime chiamate alle armi, tante rivendicazioni di proprietà: “la mia Perugia” ricorre come purtroppo non ricorre in situazioni più liete o personali. Un modo stralunato, o forse giustificatamente romantico, per ammettere qualcosa di meraviglioso: la percezione del sacro. O la sua nostalgia. La sacra, “augusta”, città. Comunque non proprietà. Un sacro ferito, ma non proprio: un sacro che si ferisce. Si lacera dell’impossibilità di un sano possedersi vicendevole, fra uomo e città, fra uomo e storia.

Non è disponibile per lo studioso il “sacro allo stato puro” : esso sempre si manifesta nel mondo in qualcosa del mondo, qualcosa di profano, e nello stesso tempo si nasconde in esso. (Mircea Eliade)

L’acropoli è necessariamente la costruzione di un bacino del sacro, è verticale, è lassù. Nell’epoca degli “dei fuggiti”, o della loro “morte” (a seconda di quale immagine filosofico-contemporanea si predilige) il sacro come elemento di rimando ad “altri mondi”, ha lasciato entrare in città ancora altri mondi, altre terre, altri volti, altre “culture”, altri sacri e altre violenze, che sono sempre il marchio della difesa del sacro da cui si proviene, pensato come proprietà. A differenza del primo tipico sguardo di chi si autodescrive come “non più padrone in casa propria”, non è il profano ad entrare in scena: è la collisione contraddittoria fra piani del sacro inconciliabili.

E’ una potenza attiva ma anche oscura, affascinante e spaventosa, misteriosa : numinosa ( dal latino numen, che significa potenza divina senza nome , impersonale. ( Rudolf Otto )

Un esempio semplice? Per lo spacciatore tunisino, vendicare un suo fratello uccidendo lo spacciatore albanese, è sacro, e rimanda a dimensioni famigliari e culturali distantissime geograficamente e intellettualmente (avere un coltello in mano e un po’ di fiato per correre non è un momento precisamente meditativo, ma i tentativi di onore e identità sono presenti come moventi inconsci nell’attimo feroce dell’aggressione e della fuga) sulla scorta del problema concreto della suddivisione politica degli spazi. Ma non c’è abbastanza spazio sacro per tutti. Né per delinquere, né per essere. In certa misura l’accusa fatta dai cittadini in questi giorni consiste nel fatto che proprio il loro esserci, è già delinquere. E la piazza di un’acropoli di uno Stato Pontificio ipotecato spiritualmente dalla inevitabile secolarizzazione crea risultati d’incoerenza comici e drammatici contemporaneamente. Il cittadino desacralizza il suo centro per via di un automatismo della secolarizzazione e nello stesso tempo vive come profano chi non attua la profanazione nei termini condivisi (cfr. decentramento delle attività di produzione commerciale e culturale): chi introduce elementi sacri non tollerabili è fuori dal gioco: <<Non è mai la loro differenza specifica che si rimprovera alle minoranze religiose, etniche o nazionali; si rimprovera loro di non differenziarsi in modo opportuno, al limite di non differenziarsi affatto>>, sottolinea in maniera illuminante René Girard.


Il gioco è profanare ritenendo propria l’acropoli da lasciare ferma come un acquario privo di transito, nessun pesce è più ammesso ma l’acqua deve essere pulita. E non è compito di questo articolo ritenere questo processo giusto o sbagliato. L’intento è recuperare la domanda sull’origine spirituale del dissidio fra sacro e profano in quanto dialettica fra modi diversi di darsi del sacro stesso (e di perdersi di senso del profano in quanto tale!); il grande trambusto fra uomo come emanazione dello spirito della città e città in quanto collettività eterogenea di uomini disperati e dispersivi. Non multiculturalità, ma iperculturalità, dunque. La necessità di espellere chi si ritiene fuori gioco deve giocarsi, appunto, sulla scommessa di una nuova domanda di senso.

Si vuole piazza pulita, ma la piazza pulita rimarrà vuota?

C’è tuttavia una provocazione da avanzare: è possibile che nel nostro periodo l’esperienza del sacro non possa prescindere dalla violenza come veicolo? L’uomo non sembra tanto interessato a riguardo, al di fuori di quando la violenza esplode ed evidenzia ciò che in un remoto pertugio della propria anima, si ama e si sente come ferito. Un solo dio non basta più. La felicità stessa non basta più per identificarsi. Bisogna percepire il sangue. Bisogna sanguinare da tempo e notarlo scorrere fuori dalle proprie vene troppo tardi. E punire con il sangue chi ce lo fa notare.
Non è forse il caso dunque di descriversi non come profanati ma piuttosto come non più unici profani in casa propria? Perché  la sacralità della propria città viene condivisa e rivendicata a partire dal culmine della violenza percepita come qualcosa di subìto personalmente?  Non è forse la nostalgia del dio a farsi sentire come bisogno di evocarlo nuovamente? E’ sul trascendente che si scarica la responsabilità di tutta quella violenza concreta che la comunità umana non sente di voler più accettare.

La genesi del dio si effettua per il tramite della violenza unanime […]. Il sacro disumanizza la violenza, sottrae all’uomo la sua violenza al fine di proteggerlo da essa, facendone una minaccia trascendente e sempre presente che esige di essere placata da riti appropriati; pensare religiosamente, è pensare il destino della città in funzione di quella violenza che domina l’uomo, è quindi pensare quella violenza come sovrumana, per tenerla a distanza[…] il processo sacralizzante dissimula all’uomo l’umanità della sua violenza.
(René Girard, La violenza e il sacro,  Adelphi, Milano 2003, pp. 139-224)

Rivendicare la propria cultura vuol dire rievocare il proprio rapporto, anche perduto, con la trascendenza. E spesso nemmeno lo si sa. La scommessa del futuro della città è un Mysterium tremendum et fascinans, come lo definirebbe Rudolf Otto. Ripopoliamo le strade.

Commenti

commenti

14 Comments

  1. renella maggio 10, 2012 Reply

    ma che dici?

  2. anna maggio 10, 2012 Reply

    ma dai! non si può leggere!! è una roba …..

  3. Acai maggio 10, 2012 Reply

    una riflessione profondissima. non se ne leggono in giro di pezzi così. grande simon!

    • anna maggio 10, 2012 Reply

      ..e menomale!

    • Author
      Simon maggio 10, 2012 Reply

      Grazie, continua a seguire il Bureau

  4. anna maggio 10, 2012 Reply

    a rileggerlo viene la nausea per le elucubrazioni. Oddio…vomito…

    • Author
      Simon maggio 10, 2012 Reply

      Non a tutti piace un taglio filosofico, leggiti l’articolo sul culo di Pippa Middleton.

      • anna maggio 11, 2012 Reply

        Non mi interessa una cippa del culo di Pippa. Ho solo detto che mi fa orrore la tua filosofeggiante saccente e arrogante scrittura barocca rococò

        • Author
          Simon maggio 11, 2012 Reply

          Allora sono sicuro di aver fatto la cosa giusta.

  5. Marco Costantini maggio 10, 2012 Reply

    Se il lettore non capisce un pezzo la colpa è evidentemente dell’autore. Quando la cronaca dei fatti è accompagnata da un’analisi delle dinamiche storiche e sociali in cui questi si inseriscono, con tanto di sconosciuti riferimenti letterari, si è senza dubbio di fronte alle parole di un individuo intellettualoide ed un po’ presuntuoso.
    Nel caso presente vengono addirittura omesse le tabelle coi voti ai personaggi coinvolti, conseguenza palese della ridotta capacità di giudizio dell’autore (e io come decido se condividere o no su facebook?).
    Il lettore viene lasciato drammaticamente in balia del suo senso critico che non lo può che portare giustamente ad un rigetto fisiologico dell’intero articolo del pedante autore.

    • Author
      Simon maggio 10, 2012 Reply

      Mircea Eliade, Rudolf Otto e Girard sconosciuti? Ma stiamo scherzando?

      • Marco Costantini maggio 10, 2012 Reply

        Guarda che sono del tutto ironico, pensavo si capisse! Ti pare seria la richiesta di tabelle coi voti ai personaggi coinvolti per poter decidere di condividere o no su facebook? Take it easy

        • Author
          Simon maggio 10, 2012 Reply

          Grazie. Continua a seguire il Bureau

  6. Martina giugno 7, 2012 Reply

    Il giudizio è sempre personale. Lo stile pure. Ma io davvero non capisco quale sia stato il problema di alcuni con questo pezzo. Vi sentite inadeguati perchè non capite riflessioni sulla trascendenza? leggetevi articoli di cronaca, pezzi teoricamente basati sul chi come dove quando e perchè, così assorbite un informazione senza fare sforzi ulteriori.
    Tra l’altro la scrittura è democrazia se vuoi scrivi, se vuoi leggi, Ma con tutta la merda che c’è in giro il ” menomale” di Anna è ridicolo.

Leave a reply to Simon Click here to cancel the reply

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>