Note dolenti #1: My Bloody Valentine, Foxygen, Cornelius

il bureau - note dolenti - episodio 1

di Bobi Raspati

In questi giorni si fa l’Italia. Per anni hanno mangiato alla facciaccia nostra, ora l’aria sta cambiando. La casta della musica: i plutocrati del pentagramma e della SIAE, i professoroni della critica e i professionisti del palco, quella gente che non ha mai suonato in vita sua e continua a fregarci gli mp3 dalle recchie. Hanno la faccia come il culo, e comunque sono tutti morti. Note dolenti è una rubrica di contro-informazione movimentista e non riceve contributi pubblici. Il cotton fioc della gente onesta e di cuore. Di articolo in articolo compileremo la nostra lista di proscrizione. Sarà una commissione d’inchiesta sommaria, e non faremo prigionieri. Siamo qui per fare l’Italia. Noi siamo voi, mica loro. Madidi delle lacrime di Elvis, come acqua pubblica di fontanella in un giorno assolato di primavera (oppure, se preferite, come MDMA). Vi puliremo le orecchie a cadenza bisettimanale. O quasi. Comunque di lunedì. Tre dischi a botta, o qualsiasi altra fesseria musicologica ci salti in testa. Ci vediamo su Spotify. Sarà un piacere.

My Bloody Valentine – m b v [Autoprodotto, 2013]

Ecco il seguito di uno degli album più celebrati della storia del rock, e la terza opera di uno dei suoi gruppi più importanti e influenti. Era Loveless ed era il 1991 – quanti di voi erano nati? Il quartetto irlandese partoriva un suono impressionante, una coltre spessissima di chitarre e voci. Il punto di congiunzione tra rock e ambient, una roba drogatella e suadente. Questo m b v era diventato una chimera, annunciato centinaia di volte e sempre rimandato. Non si tratta di una reunion, perché pur non pubblicando praticamente niente i My Bloody Valentine non si sono mai sciolti. Il che darebbe l’illusione che i pezzi siano stati cesellati con cura lungo questi ventidue grigi anni, come tante volte era stato fatto credere, ad alimentare il mito del graal acustico perduto. Ci troviamo invece ad ascoltare una specie di raccolta di scarti dal disco precedente, o comunque un pugno di pezzi che sembrano buttati giù di gran fretta e ricoperti senza troppo coraggio dell’onirica melassa sonora di cui sopra. Sorprese zero, passi in avanti pochi e poco significativi. Un brutto disco? No, ma tremendamente consolatorio e accomodante. In ogni caso, l’ennesimo paradosso di questi anni gonfi di nostalgia.

Foxygen – We Are the 21st Century Ambassadors of Peace & Music [Jagjaguwar, 2013]

A proposito di nostalgia, ai ributtanti Tame Impala io segherei le mani. La tendenza era già netta, ma ho come l’impressione che il loro successo abbia fatto venire a galla le peggiori tendenze reazionarie, scompostamente abbracciate da blog e ascoltatori cresciuti coi vinili di mammà. In questi due mesi di 2013, tanto per fare due nomi, abbiamo già subito le lagne vintage di Unknown Mortal Orchestra e The Holydrug Couple – scrupolosi rivisitatori del verbo psichedelico di fine anni ’60, tanto pedestri quanto sfacciati. I californiani Foxygen sono purtroppo gentaglia di quella risma, ancora più pericolosi perché a loro modo capaci: il loro pastiche sonoro è tutto adagiato su ricordi istagrammati di Kinks e Bob Dylan, con un filino di Motown e uno sputazzo di T.Rex, due cenni a Lou Reed e ancora spremitura di John Lennon. Sappiamo tutti che viviamo tempi difficili e che ogni scusa è buona per cullarsi nel ricordo di un ricordo, ma la misura è ormai colma. Basta ricatti emozionali, basta casta retrò! Aridatece il futuro!

Cornelius – NHK「デザインあ [Warner Music Japan, 2013]

Quanto ci piace Cornelius! Stella del shibuya-kei (un genere di indie-pop giapponese influenzato da lounge e bossa nova), negli anni si è accostato con originalità e gusto al noise rock dei Jesus & Mary Chain (nell’album Fantasma) così come all’elettronica gentile degli Stereolab (soprattutto in Point). Questa raccolta, la prima dal 2006, è la colonna sonora di un programma televisivo di design. Venticinque brani elettroacustici brevissimi e minimali, fatti principalmente di frammenti vocali, pochi strumenti e tanta pulizia. Così come nel fu Sensuous, l’arte di Cornelius consiste nel parcellizzare e ricucire brandelli di ritmo e melodia, sparpagliati con algida grazia nello spazio delle vostre cuffiette. Pop decostruzionista? Massì, ma diciamo pure che è divertente e pieno di ritmo, seppur discreto e maniacalmente asciutto. La tv è roba di casta sempre e comunque, pure in Giappone, ma a noi questo disco piace uguale.

Commenti

commenti

4 Comments

  1. Nico marzo 4, 2013 Reply

    Non ho potuto fare a meno di leggere i commenti già presenti, digitati peraltro da Facebook (il che è già una nota di demerito), scorgendo in essi dei toni polemici, quasi infastiditi: male, anzi malissimo.
    Il livello del blog è alto, cerchiamo di mantenere alto anche il livello dei commenti.
    La Musica è arte e, come tale, va vissuta: può piacere o non piacere, questione semplicemente di gusti.
    Quindi, evitiamo la solita solfa del “Io ne capisco, tu no”: non se ne può più.

    Venendo al punto, faccio i complimenti all’autore: l’articolo è scritto molto bene e, soprattutto, “scorre” benissimo. Continua così.
    Per quanto riguarda i pezzi che hai scelto, premettendo che è sempre una questioni di gusti, scrivo che:
    1) nulla da eccepire sui “My Bloody Valentine”: cazzuti erano, e cazzuti sono. Però, secondo me, il loro picco creativo l’hanno avuto con “Isn’t anithing”;
    2) sui Foxigen sono pienamente d’accordo: tutto fumo e pochissimo arrosto. Mi erano piaciuti poco già con il disco d’esordio. Dimenticabili;
    3) Cornelius, invece, proprio non lo reggo. Punto.

    Ultima considerazione: anch’io, purtroppo, sono un’inguaribile nostalgico. Cerco di curarmi, ma la nostalgia è tosta da combattere. Cerco di affrontarla ascoltando decine e decine di gruppi emergenti, addentrandomi, magari, anche in generi musicali che non mi appartengono. E c’è un sacco di roba buona.
    Tuttavia, resta il fatto che la “botta” che ho preso ascoltando dischi come “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”, “Dark side of the moon”, “Trans Europe Express”, “Violator”, “Master of puppets” o “The Joshua Tree”, non l’ho mai più ripresa, pur cercandola.

    • Nico marzo 4, 2013 Reply

      ***Errata corrige
      Ovviamente, il disco dei My Bloody Valentine si intitolava “Isn’t anything” e non “Isn’t anithing”, e i Foxygen sono i Foxygen (e non i “Foxigen”).
      Mi son perso le “y” per strada. Errori di distrazione, dovuti alla fretta e al controverso rapporto con il fottuto inglese, ma comunque errori quasi imperdonabili (soprattuto per i My Bloody Valentine).

      Nico

      • Nico marzo 4, 2013 Reply

        ***Ri-errata corrige
        Ovviamente, soprattutto si scrive con le doppie “t”. O, meglio, si potrebbe scrivere anche soltanto con la seconda doppia “t” (cioè “sopratutto”). Sicuramente non si può scrivere “soprattuto”.
        Cazzo, giuro che ho anche una laurea e un dottorato in corso.
        Pardon

        Nico

        • Bobi Raspati marzo 5, 2013 Reply

          guarda che noi i professoroni li schifiamo e ci sputiamo in faccia: sbaglia tranquillo!

Leave a reply to Nico Click here to cancel the reply

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>