il Bureau - De Mita

di Raffaele Cappuccio

Il caso di De Mita è la metafora dei nostri tempi. Anzi, di tutti i tempi. La politica come condizione di potere. L’aumento del debito pubblico, ad esempio, è in parte imputabile all’ingordigia di chi ha governato l’Italia negli anni Ottanta. Con un solo intento: il mantenimento dello status quo. Eppure anche loro cadranno.

Premessa filosofico-esistenziale

I cambiamenti, quando ci sono, avvengono sempre con gradualità, anche quando arriva un asteroide a sconquassare l’esistente. Certo, può accelerare la trasformazione, ma mai determinare una cesura netta. E’ in questo modo che si alternano le ere geologiche. Ed è quello che è successo, tutto sommato, in Italia nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Dopo la tempesta (in un bicchiere d’acqua) di Tangentopoli molti “dinosauri” sono scomparsi. Qualcuno però ha resistito, mosso da un primordiale spirito di sopravvivenza: Giulio Andreotti, Enzo Scotti, Cirino Pomicino. E Luigi Ciriaco De Mita.

Filosofo della Magna (Grecia); Figlio d’Irpinia, lontana terra di lupi o di pecore (dipende dallo stato d’animo); democristiano dalla culla alla bara (Mo me lo segno).

Questo post, allora, lo voglio dedicare a Ciriacosauro (copyright di Dagospia, ndr). Lo ammetto: Giriàco (con l’accento sulla “a”) un po’ mi affascina. Comprendere come il figlio di un sarto abbia di fatto comandato l’Italia (‘o padrone dell’Italia, diceva Arbore, vedi video) per quasi un decennio mi dà uno strano senso di stordimento. Anche perché quando De Mita parla non si capisce molto: sta sempre lì a fare riflessioni lunghe e compassate. Ma che vuoi spiegare a una massa di pecore che hanno a cuore solo il proprio portafoglio? Eppure i ragionamenti demitiani ci ammorbano da decenni, con qualche ritorno nostalgico sui giornali nazionali.
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Qualche mese fa Giriàco ha rilasciato un’intervista a Marcello Sorgi, pubblicata sulla “Stampa”. Gli ex Dc stavano giocando al rialzo con Berlusconi, all’epoca ancora in sella (sembra passato davvero un secolo), e c’era la necessità di capire, comprendere l’esistente. Magari chiedendo un parere a un professionista della politica. Chi meglio, allora, del “leone” di Nusco. La musica, però, è sempre la stessa: “il bipolarismo muscolare è morto”; “bisogna aprire una fase costituente”. Il solito disco incantato. Solo che le parole di Ciriaco di anno in anno incantano sempre meno. Nella sua personale partita a scacchi l’ex segretario della Dc conosce un’unica mossa: l’arrocco. Se da un lato si tiene vivo il pensiero, dall’altro bisogna conservare a denti stretti il potere. Prima De Mita decideva il direttore generale della Rai. Ora Giriàco (sempre con l’accento sulla a) si accontenta di indicare chi far sedere nei Piani di zona. E’ un gioco di prestigio fantastico.

Sorgi, nell’intervista, sosteneva che tutti i tentativi di far cadere Silvio erano inutili. Bene, De Mita controbatte:

«E se uno rafforza il suo governo praticando la corruzione e comprandosi i voti dei parlamentari, questa è o no una sconfitta della politica?»

Beh io rispondo di sì. Così come è una sconfitta che i demitiani si siano alleati in Campania con il Pdl di Cosentino (anche se De Mita con un gioco di parole dice che il suo unico interlocutore è Caldoro).

E poi ci sono due evergreen che mi hanno estasiato. Il primo:

«La politica è una cosa diversa. La politica, come diceva Moro, è guardare oltre l’orizzonte, cercare l’ignoto».

Ora, secondo me, De Mita a furia di guardare lontano è diventato strabico – non è un insulto, è una descrizione. Gli ultimi dieci anni li ha passati a spingere il nipote – il trota di Nusco – che nella sua lunga carriera politica non è mai stato eletto. Le uniche cose ignote in questa faccenda sono le capacità del novellino demitiano. Uno che in Regione non conta granché a tal punto che delle sue dimissioni non se ne è accorto nessuno.

L’altro must di De Mita è l’aneddoto politico. Da Presidente del Consiglio andò in viaggio di rappresentanza a Mosca, dove all’epoca c’era ancora Gorbaciov che gli chiese quale fosse il modello dei democristiani. E lui rispose:

«Non ne abbiamo. Ci siamo mossi azionando la leva della crescita e quella della redistribuzione,
con un minimo di solidarietà».

Cioè: negli anni Ottanta De Mita con Craxi, Forlani, Andreotti hanno contribuito a far schizzare il debito pubblico. E la crescita è stata drogata perché le risorse sono state ridistribuite per aumentare i posti pubblici e ingrandire il bacino elettorale, fatto di questuanti. Questo è stato il modello. E aggiungo fallimentare, almeno per la nostra generazione che la solidarietà non sa nemmeno cos’è.

E’ una traduzione spicciola della logica demitiana ma serve a comprendere come questo filosofo mentre osannava le virtù del pensiero, dedicava il suo tempo a fare e disfare. Il linguaggio era ed è solo una copertura. Sarei proprio curioso di leggere la tesi che Pina Picierno (parlamentare del Pd) ha scritto sul modo di parlare di De Mita. Perché non ce la faccio più a sentirmi controbattere che Giariàcoè l’unico che sa pensare”. Lo ha ripetuto di recente uno dei suoi pupilli: Angelo Villani. Costui è un ex presidente della Provincia di Salerno, caduto in disgrazia perché finito agli arresti domiciliari undici mesi per il crac Alvi. Da qualche mese Villani è in libertà. E nella sua prima intervista ha dedicato un passaggio anche al suo padre politico.

«Devo riconoscere che ad 83 anni De Mita resta una delle teste pensanti migliori che abbiamo in Italia».

Sic! E continua sostenendo che il crac del gruppo Alvi c’è stato perché “le banche nel momento più difficile non danno una mano“. Ma sbaglio, o Villani è lo stesso che sedeva nel consiglio di amministrazione della Banca della Campania? Lo stesso istituto che ha concesso un finanziamento al gruppo in odore di fallimento. E questo non si chiama conflitto d’interessi? Ma il giornalista si è dimenticato di fare la domanda. E allora la faccio da solo e mi rispondo da solo (come Gigi Marzullo, uno dei tanti folgorati lungo la via per Nusco): no, si chiama “faccia di bronzo” perché la Banca della Campania è la stessa che è nata dall’acquisizione della disastrata Banca popolare dell’Irpinia da parte del gruppo Bper. La banca famosa per il caso Irpiniagate, svanito poi sotto le macerie del nulla. Ma tanto basta pensare.

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