Piedi tra i pomodori

di Alberto Gioffreda

Nascere in una famiglia benestante di un piccolo centro del sud è da considerarsi una fortuna. E’ una semplice ovvietà che va spiegata. Tra le numerose salite che non incontrerai prima dei 18-20 anni, c’è quella di non dover andare a lavorare. Lavorare nei campi appena le tue gambe e le tue braccia sono in grado di reggere almeno dieci ore di lavoro. Restando piegati per raccogliere pomodori, con le braccia stese per recuperare gli acini , non bucati dagli insetti, dell’uva. Tutto questo per una cifra che non supera le 20 euro al giorno. E ci vai perché hai visto tua madre e tuo padre che lo hanno fatto, e poi i tuoi fratelli o le tue sorelle più grandi. E cresci più in fretta perché il sole ti mangia la pelle, e quando avrai quarant’anni, ne dimostrerai molti di più. Potrebbe sembrare una scena in bianco e nero, quelle che a volte passano in tv, dove le donne calabresi, “vestite di nero nel lutto di sempre”, raccontano la loro giornata nei campi. Ma erano gli anni sessanta.

E invece no. Il tempo da queste parti si è fermato, cambiando poche cose. Per i campi non c’è  più solo l’uomo bianco. C’è anche quello nero, “lu gnuru”, l’africano, “lu marocchino”. Che non vedrai mai alle tre di notte, mentre tu stai tornando da una serata con gli amici, aspettare con un borsone, insieme a chi abita vicino a quella terra. Non lo vedrai mai attendere nel piazzale della chiesa dove tutti sanno che è a quell’ora che troverai tanta gente pronta per una giornata di lavoro. Non lo vedrai mai insieme agli altri perché nella guerra tra poveri, l’uomo nero perde di nuovo. Perché il caporale ha detto di nascondersi e che sarà lui ad andare a prenderlo. Perché tace di più mentre lavora e perché non sa come imbrogliare il caporale. Perché non si ribella se lo paghi a cottimo. Perché non sa che se si fa male sul lavoro, se non è in regola, può minacciare il caporale, che non ti porterà mai ad un pronto soccorso se non dietro la promessa di un ingaggio maggiore a fine giornata o di un contratto vero e proprio, come fa l’uomo bianco. A lui basta un colpo in testa, perché nessuno andrà difenderlo.

E’ per questo che fa strano che in una domenica di luglio come le altre i pomodori non vengano raccolti nelle campagne di Nardò perché un gruppo di braccianti immigrati si rifiuta. Incrocia le braccia e quando il caporale arriva con un vagone di braccianti del luogo, pronti a lavorare a cottimo, si mette di traverso. Se ci fosse un manuale sulla storia del caporalato questo potrebbe essere un capitolo totalmente nuovo. Per cinquant’anni l’uomo bianco, quando aveva deciso di fermarsi, era stato investito o si era visto puntare contro una pistola. E il mattino dopo era tornato sotto il sole, in silenzio. Chi invece ha attraversato il mare su un barcone forse non ha paura più di nulla. E se il ragazzo fortunato non ha consapevolezza di tutto questo, forse non merita la sua fortuna.

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