il bureau - la maturità delle tracce

di Paolo Gervasi

Per la maturità del 2008 una delle tracce della prima prova proponeva ai candidati l’analisi testuale di una poesia di Montale, Ripenso il tuo sorriso. Un testo pubblicato nel 1925 nella prima raccolta montaliana, Ossi di seppia, nel quale si fa riferimento, con turbata e intima ambiguità, a Boris Kniaseff, ballerino russo che era anche il dedicatario della poesia. Un ballerino, un uomo, che le pudiche annotazioni ministeriali trasformarono in una “figura femminile”. Probabilmente per non confondere le impressionabili menti dei maturandi (ironia della definizione), normalizzando ogni possibile differenza: di genere, di identità sessuale, e di prospettiva storica. Abolire l’ombra di un riferimento omosessuale occultava un comportamento “deviante”, ma soprattutto bloccava la possibilità di comprensione di un contesto storico-culturale lontano e diverso. Da Patroclo “cugino” di Achille, al ballerino russo che cambia sesso, la scuola confermava di restare inchiodata ai modelli educativi paternalistici della riforma Gentile, elaborata durante il fascismo e mai davvero scalfita nella sostanza.

Se si prende questo episodio come paradigma dell’approccio ministeriale alla cultura e, in particolare, alla letteratura, le tracce della prima prova di maturità proposte quest’anno diventano incoraggianti. Prima di tutto perché rappresentano un tentativo evoluto di concepire la cultura come uno strumento di interpretazione della complessità. A cominciare proprio dalla scelta, discussa e criticata, sulla quale si è ironizzato con la solita, stolida complicità dei media, di Claudio Magris: uno scrittore che ha tentato un lavoro di comprensione, e di riscrittura, di una tradizione culturale non immediatamente scolastica, ma letta e vissuta come conflittuale genealogia del presente.

Il lavoro di Magris, nel suo sforzo di traduzione e prolungamento del patrimonio culturale, offre un esempio di quanto il sistema scolastico, a tutti i livelli e in tutte le sue componenti, dovrebbe fare per mettere la cultura nelle condizioni di tornare a pronunciare una parola agonistica sul presente, di “fare presa” sul magma della contemporaneità, per combattere, anche attraverso il proprio potenziale di contraddizione, la marginalizzazione e l’impotenza cui l’imporsi dell’apparato tecnico-scientifico ha costretto le discipline umanistiche. Una riattivazione del discorso culturale che non si rifugi nella petizione di principio della propria rilevanza “perché sì”, ma riesca a interrogarsi sulle ragioni della propria (in)attualità, per travasare un quoziente di differenza nel discorso pubblico, confrontandosi con le altre discipline e rivendicando una funzione di mediazione fondata su una rinnovata capacità di costruire persuasivi e comprensivi “racconti sul mondo”. Ovvero l’esatto contrario di quanto si prospetterebbe nella coazione a ripetere l’ennesimo Pirandello depotenziato dalla manualistica.

Il discorso resta invariato se dalla letteratura ci si sposta verso gli ambiti affrontati dalle altre tracce, dal saggio su individuo e società, alla traccia sull’omicidio politico nel Novecento, allo spunto sulla rete cooperativa della vita, sull’esistenza come collaborazione, che offre, se non altro, un’occasione irripetibile di citare la Ginestra di Leopardi fuori dagli irrigidimenti delle interpretazioni scolastiche.
In generale le tracce suggeriscono la possibilità di una manipolazione viva e attiva dei materiali culturali, con un tentativo di presentificazione che, mi pare, non schiaccia necessariamente i riferimenti storici sull’attualità, non li piega alla dittatura della cronaca, ma tenta di creare un collegamento, precario e conflittuale, tra la complessità del presente e la stratigrafia del pensiero che la scuola dovrebbe insegnare a leggere. Senza inseguire l’effimero e senza, allo stesso tempo, rifiutarsi di pensare una nuova dimensione per l’educazione, facendo intravedere la possibilita di ridiscutere e ricontrattare, finalmente, la funzione dell’umanesimo. Come dimostra anche la traccia dedicata alla ricerca sul cervello: un orizzonte probabilmente banalizzato e martoriato dalla disastrosa divulgazione scientifica dei quotidiani, ridotto a moda e a prefisso (neuro-qualsiasicosa) buono per ogni occasione, ma che rappresenta una delle prospettive che stanno contribuendo a ridefinire in profondità l’immagine dell’uomo.

Il problema di questa maturità 2013, allora, è che davvero, come si è lamentato attraverso la formula “belle e impossibili”, riferita alle tracce, raramente i ragazzi che arrivano all’ultimo anno del percorso scolastico di base hanno gli strumenti per affrontare la complessità nel modo ambizioso abbozzato da questa prima prova, nonostante il lavoro faticoso e prezioso di molti insegnanti che su iniziativa personale tentano di “correggere” e approfondire i percorsi ministeriali. La lacuna più grave, guasto atavico del sistema scolastico italiano, non riguarda tanto il possesso di nozioni e informazioni, ma è rappresentata dalla difficoltà di creare relazioni, “sinapsi” (aggravata, oggi, dal divide cognitivo tra docenti e discenti prodotto dalla distanza crescente tra gli ambienti semiotici in cui gli uni e gli altri si muovono) tra la pratica del sapere e le configurazioni dell’esistente, tra, banalizzando, ciò che sta dentro e ciò che sta fuori l’istituzione scolastica. Non è necessario, alla fine del quinto anno di scuola superiore, conoscere l’intera bibliografia di Claudio Magris: sarebbe importante, invece, aver sviluppato i riferimenti e le capacità critico-immaginative necessarie a comprendere che uno scrittore come Magris non è un’isola alla deriva rispetto al corpo ingessato della tradizione scolastica, ma si colloca lungo una dinamica e problematica linea di continuità.

 

 

 

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