IRONIZZATI

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di Matteo Pelliti

Lapis #06  (sull’ironizzazione)

“L’uva passa può anche essere quanto vi è di meglio in una torta, ma un cartoccio di uvette non è migliore di una torta. E chi ce ne offre un cartoccio pieno, non per questo sarà in grado di cucinarci una torta” (Ludwig Wittgenstein).

Questa frase del filosofo austriaco (che,  contestualizzata nel suo pensiero,  si riferiva proprio al suo stile di scrittura, le uvette sono i suoi ritagli, i suoi bigliettini dai quali ricomporre un’opera organica mai raggiunta realmente), trovo sia molto adatta a descrivere il fenomeno della “ironizzazione forzata” nei socialnet. Status e tweet diventano, molto spesso, una specie di piano inclinato umoristico. Gli status come luogo della coazione al riso, al witz, al motto di spirito. Forse occorre davvero iniziare a resistere alla tentazione di trasformare qualsiasi cosa, anche tragica, in una battuta, col rumore del piatto di batteria a seguire, come nell’avanspettacolo.  Le battute, l’ironia (alla lettera: “rovesciamento”) che inseguiamo facilmente nelle scrittura social, non rischiano di essere come le “uvette” wittgensteiniane? Si può parlare di una “coazione all’ironia”, al motto di spirito, incoraggiata da questi mezzi? Interna ai mezzi stessi. A volte rinunciare a una battuta può essere salutare, proprio come si rinuncia a una bevanda troppo zuccherata. L’assuefazione all’ironia, infatti, ne depotenzia la funzione critica, ne svuota pure il potere conoscitivo.

Il motto di spirito tipico dell’aforistica, precede, come un trisavolo, la pratica dei 140 caratteri e degli status, quindi parrebbe naturale, come per consanguineità, che questi mezzi ritornando all’origine della scrittura breve, spesso indulgano in una salsa ironica, se non comica.  I risultati di questa inclinazione, sia a livello dilettantistico che professionale (dimensioni indistinguibili) sono spesso divertenti ma non è il risultato che mi interessa discutere qui né, tantomeno, la produzione volontaria e consapevole di “battute seriali” (vedi le domande frequenti di un sito come Spinoza.it) quanto il meccanismo di induzione coattiva e inconsapevole alla sintesi ironica. In altre parole: con le nostre battute siamo, forse,  tutti complici di un mega-intrattenimento? Cintratteniamo per trattenerci: i volenterosi aiutanti di Zuckerberg, potremmo definirci così, nei nostri cabaret gratuiti sulle bacheche nostre e altrui. Fortunatamente, però, negli ultimi tempi, proprio dentro il socialnet affiorano i primi segni resistenziali (“L’eccesso di ironia dopo un poco scassa pure il cazzo“, dice Brunella Saccone, Facebook 30 ottobre 2013).

Le battute  possono anche essere quanto vi è di meglio in una conversazione in rete, ma un insieme di battute  non è migliore di una buona conversazione. E chi ce ne offre una solo piena di battute, non per questo sarà in grado di dirci qualcosa di interessante. O di dirci qualcosa.

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2 Comments

  1. Marta novembre 8, 2013 Reply

    Frequento troppo poco i social network per avere un’idea chiara di come funzionino gli status e le conversazioni a cui fai riferimento, ma ha come la sensazione che questa tua analisi pecchi un po’ di moralismo. E’ facile concordare sul fatto che ogni cosa, ogni pratica, ogni espressione, se portata all’eccesso, finisce per essere stucchevole come un bevanda troppo zuccherata. E in certa misura anche dannosa. Eppure l’ironia, se è buona ironia, mi sembra uno di quegli usi linguistici che si salvano quasi sempre, anche dalla condanna dell’intellettuale: in fondo Wittgenstein ci sguazzava nell’ironia, ed era un’ironia talmente intelligente da risultare per tanti versi migliore di un’ottima spiegazione. La battuta ironica che interviene nella conversazione (con la presunzione di troncarla, a volte, è vero) resta un esercizio di intelligenza, una coazione – sì – ma alla sintesi acuta e se funziona è perché suggerisce una prospettiva, non per forza perché ci solleva dall’onere dell’argomentazione. Se lo spazio concesso dai social network all’espressione è paradossalmente angusto, allora forse l’ironia rimane un buon modo per riempirlo.

  2. il Bureau novembre 11, 2013 Reply

    Gentile Marta,
    è vero, la mia analisi pecca di moralismo. Nel senso che sono riflessioni “morali” sugli usi linguistici nei social net, e nella società. Concordo con te sulla funzione salvifica dell’ironia; la mia tesi era, è, che spesso i mezzi della comunicazione “sociale” sul web depotenzino proprio quella funzione benefica, conoscitiva, e di critica alla realtà, attraverso un eccesso di ironizzazione. Grazie per la tua lettura e il tuo commento.
    Matteo

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