cicciata barbara 1

di Paolo Gervasi

Con il suo ultimo libro Fabrizio Tonello descrive una serie coerente di processi sociali che convergono verso la definizione della contemporaneità come età dellignoranza, polemicamente contrapposta alla percezione diffusa di vivere dentro una “società dell’informazione”, o addirittura “della conoscenza”. La cartografia di Tonello è utile perché segna alcuni punti di crisi che nascondono un rovescio di potenzialità da elaborare. Per immaginare strategie possibili di ripopolamento del deserto culturale che stiamo attraversando: tenendo conto di tutte le trappole e di tutti i rischi segnalati da Tonello, ed evitando di cantare scioccamente le “magnifiche sorti e progressive” della civiltà. “I nostri nonni contadini e operai”, scrive Tonello nell’ultimo paragrafo del libro, “potevano essere analfabeti, ma partecipavano di una conoscenza sociale diffusa nel paese o nella fabbrica, un senso comune che permetteva loro di capire in che mondo viviamo con sicurezza. Oggi questo patrimonio di saperi si è in gran parte disperso, ed è molto difficile da recuperare perché le sue basi materiali si sono dissolte.”
In una piega di questa visione crepuscolare si intravede la possibilità di una alfabetizzazione sociale che avviene lontano dall’alfabetizzazione istituzionale. Tonello parla di un’umanità analfabeta, ma consapevole. E costringe a formulare l’ipotesi che l’analfabetismo collettivo che minaccia il nostro patrimonio culturale e la nostra convivenza civile contenga i germi di un postalfabetismo da costruire proprio nei luoghi e attraverso gli strumenti che attualmente sembrano gli incubatori dell’ignoranza. Quella che si presenta con le insegne dell’ignoranza imperante potrebbe essere in realtà una ristrutturazione sostanziale dei luoghi di produzione e scambio dei saperi, un processo che nasconde cambiamenti profondi delle configurazioni sociali, collegati alle trasformazioni tecnologiche.

Il pubblico paraprivato generato dalle reti sociali, che trasforma non più il privato in politico ma il politico in personale, è luogo di produzione di infrasaperi, autonomi o in conflitto rispetto al sapere istituzionale, che possono diventare il fulcro sul quale poggiare la leva della nuova alfabetizzazione. Rendendo produttivo anche l’aspetto emozionale e istintivo che Tonello indica come uno dei veicoli dell’ignoranza: se riconosicuta come declinazione del desiderio, l’emotività “calda” dei nuovi media può essere utilizzata come strumento di coinvolgimento. Anche il rapporto tra docente e discente prende forma spesso a partire da un legame emotivo: già la teoria platonica delleducazione si fonda sul desiderio. Nella condivisione della parola orale si innesca un riecheggiare della parola del maestro nell’allievo che non attiva meccanismi esclusivamente razionali.

Le fratture prodotte dall’ignoranza allora possono liberare una costruzione dei significati diversa e sconosciuta. Dall’approfondimento dei processi di de-socializzazione delle pratiche culturali muovono le strategie di ricreazione e ricomposizione delle comunità. E questo è valido anche e forse soprattutto sul piano politico. Le comunità locali, i movimenti, le aggregazoni politiche diffuse e provvisorie stanno disarticolando lo spazio pubblico, aumentando lo scollamento rispetto alle istituzioni politiche tradizionali, che nel conflitto con queste nuove realtà mostrano tutta la loro sofferenza. Anche la riattivazione del politico passa attraverso la valorizzazione degli strumenti offerti dalle reti, intese non soltanto come elemento tecnologico ma come paradigma sociale.

Le nuove piattaforme di informazione e condivisione cui Tonello guarda senza troppa simpatia rappresentano le infrastrutture per l’elaborazione dei nuovi saperi. Sono flussi dei quali non è più possibile fare a meno nonostante la loro mole sovrasti le capacità individuali di elaborazione. Niente è superfluo perché tutto può attivare un infrasapere. Il fatto che le grandi corporation cerchino di assicurarsi i “servizi” dei pirati che trasformano l’orizzonte della comunicazione lontano dalle centrali accreditate dell’informazione è il sintomo dell’efficacia delle loro strategie di destrutturazione dei poteri dominanti. L’emergenza di attività “autonome” del resto è destinata a destabilizzare e poi a ristrutturare l’organizzazione del lavoro. Lo sfruttamento diffuso della creatività sociale, che adesso viene giustamente denunciato come attività parassitaria, dovrà assestarsi e trovare un suo modello produttivo.

Il rovescio dell’ignoranza è una trasformazione antropologica che insieme ai sistemi di apprendimento sta modificando gli schemi cognitivi degli individui. La mutazione è stata analizzata a livelli diversi, su una scala che va dalla fenomenologia dei “barbari” (Baricco, ma anche, a un livello di maggiore complessità, il sociologo Alberto Abruzzese) fino alle scoperte sulla plasticità neurale che provengono dalle neuroscienze. Approcci diversi che concordano nell’affermare la necessità di comprendere le strategie dei barbari che, utilizzando la metafora di Baricco, attraversano e saccheggiano il nostro paesaggio culturale. I barbari acquistano in velocità e vastità di attraversamento delle superfici quello che perdono in profondità. E dove sembra che stiano distruggendo e desertificando, in realtà stanno abitando in modo del tutto diverso. Quando parlano, sembra che stiano storpiando la nostra lingua: invece ne stanno sillabando una del tutto nuova, che dobbiamo ancora grammaticalizzare. Alcune delle competenze che hanno caratterizzato l’affermarsi della nostra civiltà saranno irrimediabilmente perdute, lasciando posto ad altre competenze che stanno avanzando. A partire dalle quali dovrà costruirsi la nuova alfabetizzazione.

L’alfabetizzazione che avveniva in fabbrica e in paese, evocata da Tonello in chiusura del suo libro, era un sapere conflittuale rispetto ai saperi organizzati e istituzionalizzati. Seguire i processi di disgregazione del sapere tradizionale serve a capire in che modo ricomporre le comunità, riaggregare nuovi saperi e nuove creatività sociali. Approfondire la crisi fino a spalancarla, senza invocare restaurazioni e nostalgie, è l’unica possibilità di connettere il presente alla storia, e di trasferire nel nuovo contesto, riattivandone il significato, il patrimonio culturale che sembra minacciato da ogni parte.

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6 Comments

  1. Massimo Bocchia dicembre 18, 2012 Reply

    Non ho letto il libro in questione, ma l’articolo mi porta alla memoria alcune riflessioni che credo in tema (e che scrivo di getto):

    1) Il sapere non è accumulo di conoscenza/e, bensì elaborazione;
    2) La velocità (barbara) di accumulo e possesso (di cose come di conoscenze) non garantisce l’elaborazione ma, al contrario, nel migliore dei casi, differisce l’elaborazione (eventuale) del pensiero e quindi la formazione stessa del sapere;
    3) Non permettere di far scendere sotto certi limiti la propria (vitale) ignoranza significa mantenere lo spazio necessario per dubbi e ricerca, presupposto questo sì indispensabile per la formazione di qualsivoglia (nuovo o vecchio) sapere.

    In sintesi: l’alfabeto dell’accumulo e della velocità non crea nessuna grammatica e nessuna prospettiva di postalfabetismo con un suo “sapere”. Il sapere, per dirla alla Tocqueville, non può esistere in nessuna forma riconoscibile se privato di quella “fatica del pensiero” (e dei tempi necessari affinché ciò accada), mentre forme di degenerazione democratica favoriscono proprio la convinzione dei cittadini di considerare l’eleaborazione del pensiero come inutile (e comodamente da delegare ad altri):

    “Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. E’ assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, restringe l’azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso”. (A. de Tocqueville, “La democrazia in America” – 1840)

    • Paolo Gervasi dicembre 23, 2012 Reply

      Gentile Massimo, chiedo scusa per il ritardo nella risposta: il commento mi era sfuggito. Ringrazio per le osservazioni molto precise e stimolanti. Che però sono, in parte, una sorta di “rovescio del rovescio”: nel senso che sono argomentazioni analoghe a quelle contenute nel libro. Un’analisi che io non nego, tutt’altro: la “fotografia” del libro, così come quella del commento, è decisamente a fuoco. Il mio tentativo era quello di assumere l’analisi, dicendo però che alcuni rilievi negativi potrebbero essere rovesciati. Non, certamente, assecondando la deriva, ma attraverso un lavoro complesso, lungo, faticoso, di nuova alfabetizzazione.

      Quello su cui non siamo d’accordo è che nessuna diversa grammaticalizzazione sia possibile. Mi rendo conto che il parallelo storico è sempre scivoloso, e semplicistico, ma le trasformazioni paradigmatiche hanno sempre generato choc cognitivi che hanno fatto apparire l’innovazione come una pratica barbara, irrecuperabile alla causa della civiltà. Per restare agli esempi macroscopici, e abusati: è stato così per l’invenzione della stampa, combattuta da molti intellettuali come un agente di supeficializzazione e velocizzazione incontrollabile della cultura; ed è stato così perfino per la scrittura, stigmatizzata da Platone come una tecnica deteriore che avrebbe distrutto l’arte del discorso e quella della memoria. Il rovescio dell’ignoranza, per me, è la necessità imprescindibile di rinunciare alle posizioni apocalittiche, e di tentare una forma di assunzione e comprensione approfondita di ciò che esiste. Nella consapevolezza che l’inerzia della storia è destinata a spazzare via ogni tentativo di “restaurazione”.

      • Massimo Bocchia dicembre 24, 2012 Reply

        Gentile Paolo,
        grazie per aver voluto rispondere alle mie rapidissime osservazioni.
        Preciso solo di non aver scritto che “nessuna diversa grammaticalizzazione sia possibile”, bensì che “l’alfabeto dell’accumulo e della velocità non crea nessuna grammatica”. In altri termini, una qualche forma di grammatica è sempre possibile, dato che l’uomo ha spirito di adattamento alle nuove o vecchie circostanze assai elevato. Altro è il “senso” della grammatica stessa così partorita. Velocità ed accumulo non sono di per sé “anti-senso”, ma l’assenza della fatica del pensiero come presupposto per una nuova grammatica non porta a nuove forme di sapere. E tale fatica può essere senza dubbo velocizzata e/o ampliata nella sua diffusione, come per l’invenzione della stampa. Mi trovo, insomma, in accordo sul presunto disaccordo purché, come la Storia ha dimostrato, sia l’uomo protagonista del processo di grammaticalizzazione. E non il contrario.

        Auguri e saluti a Lei e a tutta la redazione di IlBureau.

        • Paolo Gervasi dicembre 27, 2012 Reply

          D’accordo sul disaccordo. Del resto in molti mi hanno fatto notare che il mio pezzo aveva qualche accento “positivistico”, dovuto principlamente al fatto, come dicevo sopra, che è stato scritto per rovesciare posizioni apocalittiche, e quindi cercando di volgere in positivo, appunto, tutti gli aspetti critici della situazioni attuale, che certamente non vanno sottovalutati. Il punto fondamentale, comunque, lo tocchi chiudendo il tuo commento: quanto di umano ci sarà nella costruzione dei nuovi saperi? Conto di scivere presto qualcosa su quella che gli analisti chiamano “la cultura degli algoritmi”, che rappresenta, credo, una sfida esiziale per la tradizione della cultura umanistica.

          Grazie.

          • Massimo Bocchia dicembre 27, 2012

            Prego, Paolo.
            In bocca al lupo per la nuova riflessione, che leggerò con interesse.

            PS – In tema (anche) di cultura (algoritmica e non), credo possa essere interpretato un afor(s)isma che scrissi tempo fa: “Ho conosciuto persone che non sono persone, ma apparati digerenti”.

  2. nicolò maggio 16, 2013 Reply

    Bell’articolo, ma concordo con chi dice… si spera sempre che alla fine vada tutto per il meglio!

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