Botticelli and Pippa

di Simon F. Di Rupo

Tutta questa storia sul lato B di Pippa Middleton è l’ennesima dimostrazione che la sovraesposizione dell’immagine, del notorio e celebre, supera in potenza i dati di fatto. Quanti culi come e meglio di quello si vedono nei club, al supermercato, in fila da Intimissimi o in chiesa? Non ci viene in mente che se questo accade per un culo, più che probabilmente accade per tante altre ambizioni? Il bene, il male, i partiti, i gusti musicali, dio – sono un po’ tutti il culo di Pippa Middleton. Non è nemmeno tutta questa grande scoperta, andando a ritroso nell’archeologia delle nostre convinzioni così come delle nostre ambizioni, constatare come lo sviluppo di queste e di quelle non segua proprio un modello di adesione a una verità universale, così come è piuttosto ovvio che i motivi per cui abbiano luogo delle affezioni non possano essere passati sotto il metal detector di un raziocinio diagnostico, con buona pace di facili psicologie; l’esperienza è frutto di un fuoco interiore a contatto con un fuoco esteriore, e separare fiamma per fiamma per ricollegarle ad uno dei due fuochi sfiora il pretenzioso. Giocare con il fuoco, appunto.

Eppure la famosa sederuta d’Inghilterra può offrirci lo spunto per un altro livello di analisi. No, non ho scritto “analisi” per giocare con “anal”, così come non vorrei infierire sul nome proprio della donzella, a metà fra waltdisneysmo di bassa lega e forme autonome e manuali di amore non corrisposto. Il problema è semmai questo: è possibile auspicare una formazione del gusto che non prenda per vera, giusta e misurata la prima cosa – the next big thing, per dirla con precisione sintetica anglosassone – che gli viene proposta?

L’auspicio sarebbe appunto il passaggio dalla next big thing imposta dalla frettolosità del pubblico a un next big thought del singolo, armato di dubbio e di spirito critico tale da poter mettere in ridicolo se stesso in primis, scaglionando tutta la marmaglia spersonalizzante del sensus communis che così tanto il  famigerato “mondo delle comunicazioni” sa alimentare, nella sua abitudine a perdere per la maggiore, alla maniera di un colapasta, il connotato di scambio e trasmissione di sapere, per diventare con più probabilità qualcosa che “sa” di scambio, “sa” di sapere e fondamentalmente trasmette più velocemente l’ovvio, il banale e il cosiddetto “trito&ritrito” (formula a sua volta trita e ritrita). Ecco che chi vuole superare il “sapore di sapere” e vuole sapere davvero, ha bene in mente che un bel culo non ha bisogno di essere come quello di Pippa Middleton: sa che la faticosa ricerca della bellezza o la generosità del caso in fila al supermarket gli porterà in dono, se egli saprà interpretarlo ed elevarlo alla sublimazione del gusto, il migliore dei culi possibili. Ma interessa davvero il migliore dei culi, il migliore dei mondi possibili, oppure basta e avanza ciò che ci viene dato e ciò che con mezzi di fortuna – di culo, appunto – interpretiamo come valido?

C’è una tale overdose di Tutto che la rappresentanza di ogni singola parte rischia ogni momento di più di essere affidata a modelli che vadano per difetto; e soprattutto sempre di più gli autogrill, guarda a caso non-luoghi par excellence, come pupazzo hanno quello della serie tv del mese prima, come letteratura hanno Fabio Volo, nei giornali scandalistici campeggia il culo di Pippa e il panino al bancone è una summa del sandwich tradizionale, un esempio di panino. Scade proprio sul piano ontologico, se già non è scaduto letteralmente, di fatto. Il Tutto ridotto al rango di esempio del Tutto, il tutto come un po’ di tutto. Dall’autogrill al social network, la teoria del “non-luogo” di Marc Augé come spazio di transito in cui viene risicata la velleità identitaria e relazionale torna prepotentemente come una delle chiavi di lettura più interessanti delle derive antropologiche di questo strano decennio con tanti zeri appena passato. Forse non a caso, con tanti zeri.

Il rischio è quello di una produzione di uomini essenzialmente non storici, a maggior ragione non biografici: il flusso del tempo e del culo di Pippa Middleton di turno incarneranno la maledetta profondità del prossimo uomo – perché in profondità agiscono: non si tratta del peso della volgarità, si tratta del peso della pubblicità -; sempre più pare perdersi la grande qualità della maschera, e non pochi pensatori contemporanei notano il sorpasso che il tempo sta effettuando sulla storia (uno su tutti: Jean Baudrillard).

Allora a buona ragione Berkeley diceva “la verità è sull’urlo di tutti, ma è un gioco per pochi”? Di certo, mettendo per un momento tra parentesi la scomoda parola “verità”, per la pigrizia e l’inazione dei molti,  varrà pur sempre la formula di Nietzsche per cui non rimane che “volere il nulla, piuttosto che volere nulla”. Fatto sta che il culo di Pippa è effettivamente notevole, ma pur sempre di una sola Pippa si parla.

Commenti

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5 Comments

  1. Chiamatela Philippa!

  2. wanaxa ottobre 15, 2011 Reply

    Simon mi fai morire XD
    I tuoi articoli sono come un bicchiere di Porto centellinato in poltrona davanti al camino scoppiettante.

    • Author
      Simon ottobre 17, 2011 Reply

      Questo complimento è scandalosamente bello per me

  3. Griso dicembre 14, 2011 Reply

    Simon, mi dai un tuo contatto email, che voglio proporti una cosa? Non sono riuscito a trovare modo di contattarti sul sito. Thanks. 😉

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