vuoti_ilbureau

di Nicola Cappelletti

Firenze, milleequattrocento, quasi milleecinque.

Quant’e bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: del doman non v’è certezza.

Profezia auto avverante per il Paese, come per ogni uomo. Capita a tutti, prima o poi.
Quello che non si poteva supporre era il tipo di fine. Non la peste, non il colera, non i bottoni rossi premuti con leggerezza nucleare. Ma il vuoto.
Si gira a vuoto. Si gira nel vuoto. Si compone, scientificamente, un reticolo di vuoti.

Tra Milano e Piacenza inizia la consapevolezza.
Si gira a vuoto nelle campagne vendute alla velocità dei treni e alle gomme dei camion.
Nella tensione all’annullamento del tempo e dello spazio. Come se questo se si potesse fare senza conseguenze drammatiche. Non si nota nemmeno più la nebbia, nella pianura che é ormai solo un grande spazio di passaggio. La visibilità affidata alle macchine e alla tecnologia ci tiene al caldo, lasciandoci il tempo di immaginarci altrove.

A Firenze capisci che, forse, é anche tardi per invertire la tendenza. Nelle discussioni assenti, nelle finte occasioni di confronto, nelle rivoluzioni minacciate e sempre solo formali. Firenze ti svela che la vita mediata, esplorata e indagata prima che affrontata, è la cosa con cui ti devi confrontare ogni giorno. Paradigma dell’immagine prima che della sostanza, della sinestesia visiva. Sodoma di chi il tempo lo nega: tutto presente in ogni istante.

E si arriva poi nella provincia, spinta a dormire.
Perugia, Siena, Mantova. Cuore nero della nutrice di vuoto. Perché i vuoti si creano dove si abdica. E lì si abdica, ogni giorno, in nome di una sicurezza supposta. Di case più comode, strade meno ripide, di meno confronto reale. Per credere di avere sempre una via di uscita, una scorciatoia, all’angoscia e alla disperazione che si percepisce, ma che non si comprende. Per credere alle favole più rassicuranti.
Non è decadenza. È assenza. Anche di una reazione, anche solo di un commento spaventato.

Milano, duemilatredici, da poco.
L’uomo di Zocca più semplice percepisce la disperazione. Percepisce l’assenza.
Percepisce i vuoti. Percepisce la decadenza. Si erge a cantore del presente, tremendo e inconsapevole tramite, per una volta ancora nella storia dell’umanità, della potenza dell’immenso. Bilancia tra meraviglia e razionalità, rinnova l’italica profezia.

Facciamo bene a stare insieme stasera
Facciamo bene perché è sabato sera
Facciamo bene, facciamo perché
c’è l’occasione e l’atmosfera

Si…facciamo bene perché
siamo vivi
Domani chi lo sa?

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