Homo hominis zombie. Ci sognavamo immortali, ci siamo svegliati morti viventi

il bureau - Homo hominis zombie. Ci sognavamo immortali, ci siamo svegliati morti viventi

di Tommaso Matano

Il fatto davvero pregnante di un’Apocalisse zombie non è l’Apocalisse, sono gli zombie.

Gli ultimi anni ci avevano abituato a inseguire storie immaginifiche in grado di influenzare i più reconditi sogni erotici e picareschi di adolescenti e non. In libreria, al cinema, in edicola, tutto sembrava precipitare le nostre fughe letterarie in un mondo fantastico e  vicinissimo, occultato dietro l´ovvietà del quotidiano, un mondo pericoloso e attraente, sensuale, bivalente, rappreso nel più ancestrale dei paradigmi, eros/thanatos. Era il mondo dei vampiri.

Un mondo moderno, all’avanguardia, in cui il tuo vicino di banco o il pediatra dei tuoi figli poteva rivelarsi una creatura immortale pronta a dissanguarti con un morso nel collo. Un mondo in grado di richiamarci a sé come una sirena,  costringendoci a una serie di improbabili periodi ipotetici.

Come sarebbe se fossi un vampiro? Se fossi immortale? Se potessi saltare a destra e a sinistra e rimorchiare giovani collegiali pur avendo un’aria malsana, con le occhiaie, il viso pallido e una temperatura corporea sotto la norma? Come si vivrebbe in un mondo di supereroi potenziali che vivono nell’ombra e si fanno i fatti propri?

Il mondo dei vampiri era un mondo individualista. Un mondo di successi personali, con poca solidarietà, un universo di eccessi, violenza gratuita, sesso e astuzia. Iconograficamente segnato dal sangue, dalle labbra, e dal morso che toglie la vita donando – per meraviglioso ossimoro – l’immortalità.

Questo mondo in cui i mostri sono meglio di noi, sono sicuri di sé, sono normodotati intellettualmente e superdotati fisicamente, sono ciò che vorremmo essere,  e se la godono anche se vengono emarginati, sta progressivamente scomparendo.

Ormai ci muoviamo in un orizzonte molto più cupo e inquietante, ritagliato su misura per questi tempi kairologici di crisi, attesa, e ansie messianiche. Adesso è (di nuovo) il momento degli zombie.

Fino a qualche anno fa sarebbe sembrata un’idea vagamente retrò, e magari fuori moda. Ora un film con Brad Pitt che salva il mondo da zombie “liquidi” come i libri di Bauman, veloci e incattiviti dalla propria idiozia, è un successo planetario. Sono lontani i tempi in cui Brad Pitt era un bel vampiro provocante che duettava con Tom Cruise.

L’era degli zombie non è quella in cui l’uomo è schiacciato dalla propria impotenza di fronte alla forza bieca della natura, non è il palcoscenico in cui Roland Emmerich possa scatenare uragani, alieni e una rivisitata tettonica a zolle. Qui si rivolta contro l’uomo la sua stessa forza: la potenza della tecnica, un contagio chimico, una malattia autoimmune. I vampiri speculatori di tutto il mondo succhiano linfa vitale al sistema fino a trasformarci in zombie affamati di giustizia, resi forti dalla richiesta trasversale, orizzontale, democratica di cui ci facciamo inconsapevoli portavoce: reclamiamo il nostro primitivo diritto di mangiarci a vicenda. Avremmo voluto essere come loro, belli, impossibili e arroganti, avremmo voluto inseguire quel modello ideale di sviluppo sociale e perfino biologico. Ma il superomismo vampiresco era un’illusione per visionari fiduciosi nel progresso. Ora ci resta la dura realtà, lo sprofondamento collettivo in una disperazione panica e apparentemente inarrestabile. Al sogno da inseguire si è sostituito l’incubo da fugare: volevamo essere eleganti vampiri di successo e dobbiamo invece salvarci da una folla di non-morti in bancarotta.

Uno zombie da solo è una specie di predatore invalido e vagamente divertente, facile da sconfiggere in grandi aree aperte e dalla buona visibilità: gli spazi pubblici. Nella chiusura di uno spazio privato, però, in cui i movimenti sono impediti e la fuga resa difficile, anche un singolo zombie può trasformarsi in una reale minaccia. Un coacervo di zombie costituisce poi un pericolo dall’incedere progressivo e ineffabile, un corale grugnito di protesta e rivendicazione, la testimonianza morente della più spietata reificazione della civiltà, che infatti ce li presenta schifosamente sporchi, brutti e cattivi. Il fatto è che gli zombie-persone (che a Romero devono, ancora,  il loro imprinting) fanno sentire in colpa i vivi. I sopravvissuti sono un’elite costretta a fare i conti con un gruppo di concittadini malati. Non possono limitarsi a derubricare il problema come se si trattasse di “un movimento di protesta”, devono assumersi la responsabilità di essere gli umani, quelli con le sinapsi ancora integre. Sparare in testa ai parenti zombificati, oppure guadagnare tempo per trovare un siero e guarirli? Nel gruppo ci si divide, qualcuno ha il grilletto facile, qualcuno è fin troppo moderato. Lo sceriffo pretende serietà da parte di tutti, propone scelte impopolari. Gli zombie nel frattempo irrompono nel rifugio, lui va in confusione, non riesce a dettare la linea. Alla fine viene usato come scudo umano. E pensare che aveva anche vinto le primarie.

C’è una forte dimensione intersoggettiva nelle narrazioni sugli zombie. La fine del mondo è un fatto che, quando sarà, ci riguarderà tutti. Chi sono gli zombie? Sono streghe a cui diamo la caccia come ai pazienti psichiatrici di Szasz, sono gli emarginati della società globalizzata, la massa appiattita dal consumo, le vittime sacrificali di una palingenesi del mondo, una brutale forza rivoluzionaria che viene dal basso, l’eccezione, la nuova regola, sono morti viventi, vivi morenti, progetti ri-gettati, vomitati via dall’aldilà?

Nell’annientarla, l’Apocalisse zombie riumanizza l’umanità, la costringe a fare i conti con i propri limiti, a darsi un nome.

L’eroismo, l’amicizia, i meccanismi proiettivi, gli sfoghi collettivi, la tenerezza, i rapporti sociali, tutto è sublimato nella tensione della lotta per la sopravvivenza. Forse a questo strenuo residuo di vita ci attacchiamo per dare forma alla consapevolezza che in un mondo sfinito e incattivito ci resta solo la resistenza.

 

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1 Comment

  1. Fanny luglio 29, 2013 Reply

    Gran bel pezzo.

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