il bureau - Bobi Raspati - Note Dolenti

di Bobi Raspati

Tutti riversi sui campionatori e sui laptop, e poi finisce che uno degli album più strepitosi di questi noiosissimi anni trabocchi di chitarre e di elettronica non ne abbia manco una goccia. E finisce che quest’album, come già quelli di Arcade Fire e Titus Andronicus, sia un racconto di formazione di 80 minuti e 18 tracce, alla faccia della morte del disco.

I Fucked Up, nome idiota ma sorprendentemente inedito, vengono dal Canada. Malgrado in tanti si ostinino a etichettarli come hardcore, i suoni del punk non sono per loro che una scelta mimetica: dopo una sequela di singoli veloci e brutali (su tutti Police), l’esordio Hidden World piuttosto che ai Minor Threat li avvicinava ai primissimi Wire, mentre The Chemistry of Common Life, invero un po’ fuori fuoco, avanzava soluzioni ancora più inusitate (meritano poi menzione gli EP dedicati al calendario cinese, vedi l’ottimo Year of the Ox). Se il cantante, tale Pink Eyes, è un ciccione pelato dalla voce stolida e roca, gli altri sono invece dei fighetti – tre chitarre guidate dal valido 10,000 Marbles, un basso metronimico e un batterista pestone e creativo. A vederli dal vivo la strategia è chiara: mentre l’obeso sprofonda nel pogo, suda e strilla, il gruppo macina un rock psichedelico rapidissimo e zeppo di trovate. David Comes to Life è appena uscito e oltre a essere il loro capolavoro è già un classico.

Protagonista è David Eliade (già evocato in un pezzo del primo album e nei singoli David’s Plan e David’s Christmas), operaio di una fabbrica di lampadine in una grigia città industriale dell’Inghilterra thatcheriana – e dunque al tramonto della lotta di classe, all’alba del neoliberismo e all’ombra dei grandi capolavori del post-punk. Il sole picchia più duro della crisi del welfare e il nostro giovane eroe incontra una bella sindacalista di nome Veronica: lei non parla che di politica ma ha la voce da zozza (la cantante dei Cults cinguetta soave nell’iniziale ‘Queen of Hearts’), e tanto basta perché David se ne innamori perdutamente (‘Under My Nose’). La sfiga vuole che la fanciulla schiatti già al quinto pezzo (la splendida ‘Turn The Season’), trascinando il poveraccio in una catena di rinunce (‘Running on Nothing’) e sensi di colpa (il vortice di ‘Serve Me Right’). Siamo sicuri che il proletario l’abbia davvero uccisa di troppo amore? Il prosieguo rivela come, alla maniera delle mani che disegnano di Escher, dei romanzi dell’Oulipo e del nostro Calvino, il narratore giochi sporco e s’approfitti dei personaggi al fine di rimpinguare la propria semi-divina solitudine (‘Truth I Know’ e ‘Ship of Fools’). Capita così che David possa riabbracciare una spettrale Veronica (come nelle soap opera, in ‘One More Night’ è stavolta interpretata da Jennifer Castle), tornare alla vita, e che al calare del sipario si accendano ancora una volta le lampadine dell’amore (‘Lights Go Up’, con un Kurt Vile in gran forma). Dal punto di vista musicale il disco si regge su un suono ai limiti dello shoegaze, muraglioni di chitarre decorati da riff aciduli dall’incedere epico. Il cantato è un grugnito perenne, ma dopo un po’ di ascolti ci si abitua e gli si riconosce persino una certa elasticità interpretativa (e comunque i controcanti salvano dalla monotonia). A lungo andare si scopre che non c’è manco un pezzo brutto e che ci sarebbero invece diverse potenziali hit (la meravigliosa ‘The Other Shoe’ riprende i mid-tempo dei Pixies, ‘A Little Death’ i Wipers, la gemma ‘The Recursive Girl’ incolla al riff di ‘White Riot’ dei Clash un testo intimista). Brillante e pop, il disco è magnificamente coeso.

Beffardo come Tommy e caloroso come Zen Arcade, con quest’album i Fucked Up completano il percorso iniziato in quei grandissimi dischi: il cuore sopra di tutto, il dolore dato dalla perdita dell’amore come superamento delle dinamiche di classe. Il disco è ricorsivo e circolare e inizia come finisce: puoi ascoltarlo quante volte ti pare, e ogni volta uccidi Veronica, fiacchi David e infine lo fai rinascere. Chi parla solo di sofferenza è un po’ miope, perché questo è un disco divertente e i ragazzi hanno un sano senso dell’umorismo. Dateci dentro, non c’è molto meglio da fare.

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