Dizionario controfattuale dell’innovazione – Post

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“Post” è la ventesima voce del Dizionario controfattuale dell’innovazione di Matteo Pelliti. Un glossario incongruo fatto di indagini storico-etimologiche che aprono varchi nella stolida compattezza delle parole d’ordine della modernità. Un antidoto ai tic gergali e alle coazioni al nuovo, da somministrare, parafrasando Montale, agli “innovatori che non si voltano”. Uno stupidario puntuale come il mercoledì, tutti i mercoledì, in collaborazione con Città intelligenti. 

Il linguaggio dei filosofi è un linguaggio già deformato come da scarpe troppo strette
Ludwig Wittgenstein.

La misura di un post, ad esempio di questa stessa voce di dizionario “controfattuale”, circa duemila caratteri spazi inclusi autoimposti, è figlia di una nuova dittatura del pensiero “breve”. In che modo le forme brevi di scrittura – chat, sms, blog, status fino al cosiddetto “micro-blogging” dei centoquaranta caratteri di Twitter – hanno modificato la costruzione della “dicibilità” nella formulazione scritta di un’idea? Quel che è avvenuto sembrerebbe simile a una liofilizzazione, il processo che toglie l’acqua da una sostanza organica senza che la sostanza subisca un deterioramento. Ma quanta e quale acqua dovrò aggiungere a un post prima che mi restituisca la – ipotetica – complessità del pensiero originario che voleva esprimere? Affidarsi a una breve parentesi etimologica sul passaggio dal sostantivo al verbo, in genere, non è d’aiuto: che “to post” per “affiggere un foglio a una trave (post, dal ‘postis’ latino, lo stipite della porta) in un luogo pubblico” sia databile 1630 non ci risparmia, poi, dal dover citare pure il neologismo italiano “postare” per “Affiggere, impostare un messaggio in un blog o in un sito di discussione della rete telematica”, attestato dalla fine anni degli Novanta e imperante per tutta la prima decade degli anni Duemila. In realtà il post non abbrevia nessun percorso logico ma informa, ex post, la dicibilità stessa di un giudizio, di un’espressione, di un pensiero. Mi occorrono ancora seicento caratteri circa per andare a parare in un explicit di sapore ironico o pessimista, secondo la tesi, certamente non dimostrabile, per la quale i nuovi confini testuali attraverso i quali ci esprimiamo, sul web e non solo sul web, deformano e informano la nostra capacità di astrazione e creazione di pensieri, come le scarpe troppo strette del linguaggio dei filosofi. Non è un caso, allora, se proprio l’aforisma, il motto di spirito, il citazionismo, il rovesciamento ironico della battute che fioriscono nello stesso istante del presentarsi del fatto ironizzato, appaiono oggi così ricorrenti nella produzione testuale delle forme brevi incoraggiata da tutti i socialnet.
Mi scuso per la lunghezza di questo post, ma non ho avuto il tempo di scriverne uno più breve.

Commenti

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3 Comments

  1. Massimo Bocchia marzo 20, 2013 Reply

    A volte il pensiero riassunto in breve è solo il miglior alibi per un pensiero irrimediabilmente minimo. E tutto ciò ex ante, più che ex post. Insomma, dire poco e male è assai più facile di dire meglio, di più e in modo più articolato. Con buona pace delle eccezioni, alla… Blaise Pascal. (sorrido e ti saluto caramente)

    M.

  2. Author
    Matteo marzo 20, 2013 Reply

    Ci abbiamo ragionato sopra a lungo insieme, in questi anni, sullo scrivere in breve. Concordo con te, purtroppo. Così il dibatitto finisce subito :-)

  3. Massimo Bocchia marzo 20, 2013 Reply

    Ed ecco spiegato perché, ad esempio, le compagnie telefoniche (e non solo) non sono interessate a far ragionare le persone: finirebbero troppo presto, le conversazioni. (sorrido)

    PS – Se davveero è tale, ogni ragionamento, anche condiviso, porta sempre ad altri ragionamenti: tipo quello sui dibattiti che finiscono subito.

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