Di Valentina Parasecolo
Sono cresciuta in cima a un colle che troneggia tra flutti bassi di terra umbra coltivata a grano e ulivi. La geografia della mia infanzia è quella di un centro storico etrusco dove l’unico nato famoso è medievale e più o meno tutti i cittadini, spirito ruvido, cercano di dimenticarlo, non di celebrarlo. È un regno di conservazione che trova ammiratori tra gli americani e che fatica a tenere aperta una libreria per più di due anni. In quel regno, dal perimetro tanto ristretto, il significato dei ricordi passa per i luoghi, in particolare per i negozi.
Verso il bar del borgo ho fatto il primo viaggio da sola per comprare i gelati. Nel negozio in piazza di poster, cornici e posaceneri ho cercato i regali per i compleanni degli amici. Nella macelleria del corso ho mangiato la prima fetta di prosciutto. Dal calzolaio in fondo alla discesa ho respirato l’odore drogante di chimico e pelle. Ora dicono che forse venderanno il bar, al posto di poster, cornici e posaceneri sono appesi i reggiseni di Yamamay, la macelleria si è spostata in un centro commerciale e il calzolaio è morto e nessuno l’ha rimpiazzato ma tanto ormai le scarpe le compro dai cinesi e, se si rompono, le ricompro.
In generale, in Italia i negozi tradizionali, quelli che fino a dieci anni fa caratterizzavano i centri urbani contribuendo a formarne l’identità, sono fiaccati dalla crisi. Nei primi otto mesi del 2013 hanno chiuso 50mila imprese, con 32mila cessazioni nel commercio e 18mila nel turismo. Se continua così, considerando le attività che nel frattempo aprono, a fine 2013 si saranno perse per sempre 30 mila imprese e almeno 90mila posti di lavoro. Al primo gennaio 2014, sempre per Confesercenti, “la faccia dei centri urbani potrebbe apparire decisamente cambiata e più buia rispetto a dicembre 2012 con bar, locali, ristoranti, negozi di abbigliamento decimati dalle chiusure”. Si parla di desertificazione delle città.
“Un articolo sulla crisi dei negozi di vicinato sovrastato dalla pubblicità di un centro commerciale”
A modificare la tipologia di negozio concorre la presenza crescente di franchising che aumentano visibilmente la propria presenza nei centri storici e nei centri commerciali con un’offerta uniforme e a prezzi medio-bassi. Proprio i centri commerciali diventano le nuove piazze, ma si trasformano in luoghi di passaggio più che d’incontro, reiterando geometrie, scritte e numeri. Nel frattempo nascono e muoiono, spesso mettendosi al riparo da indagini fiscali, le attività dei cinesi soprattutto nel campo dell’abbigliamento e dei casalinghi. C’è inoltre chi ipotizza un’influenza negativa delle liberalizzazioni sulla lunga malattia di alimentari e botteghe. Pur rappresentando un tributo necessario alla libera concorrenza, queste misure avrebbero mortificato una prassi consolidata alla base del buon andamento dei negozi. Nella mia cittadina arroccata, ad esempio, i titolari delle attività commerciali accompagnavano la vendita della licenza a un periodo simile a un breve apprendistato in cui insegnavano al nuovo proprietario punti forti e debolezze del negozio (“ti spiego come vendere determinate merci, in un determinato luogo a determinati clienti”) mettendolo al riparo da scelte azzardate e rischi. Ad oggi non sono noti studi sugli effetti che queste misure hanno comportato.
In cima al colle, in mezzo alla campagna umbra, una delle prime parole che ho letto è stata “drogheria”. Era un’insegna vecchia già all’epoca, 25 anni fa. Aveva il merito di farmi immaginare quali sostanze stupefacenti ci vendessero e di abbellire il luogo con un font migliore di quello di Intimissimi. Quell’insegna c’è ancora. Quello che manca sono i clienti attratti da luoghi dove è più facile parcheggiare e non ci sono solo biscotti Mulino Bianco. In un mondo che tende a trascinare l’offerta in un marasma uniformato e rassicurante di prodotti in serie, i centri storici sono chiamati a rispondere con scelte coraggiose rese ancor più difficili dalla crisi economica e d’identità del Paese. Un suggerimento potrebbe arrivare dal caso di Cortona, dove è messo al bando il franchising a favore delle specificità di botteghe, prodotti tipici, oggetti di qualità: giocare d’attacco puntando tutto su quello che ci rende diversi e per questo attrattivi.