il bureau - Bobi Raspati - Note Dolenti

di Bobi Raspati

Tutto ritorna, in questi anni ingordi di passato. Stavolta tocca ai ’90, quelli del noise-rock e dell’emo. Può un ragazzo nato nel ’91 replicare il suono di un’epoca che ha vissuto solo tramite youtube? Può una generazione vivere di sola luce riflessa? A noi poco importa, finché continua a fare dischi decenti.

Cloud Nothings era il nome dietro al quale si nascondeva Dylan Baldi, un giovane nerd proveniente dalla grigia Cleveland. Un esordio autoprodotto nel 2009, il bel Turning On, otto canzoni pigre impregnate di lo-fi. Un seguito omonimo nel 2011, compromesso però da una decisa torsione verso il punk volatile di Wavves e Best Coast. Poi un tour con i nostri adorati Fucked Up, e i Cloud Nothings che si consolidano come un vero e proprio gruppo – due chitarre, basso e batteria.

Infine, eccoci qui: alla console Steve Albini, uno che con i progetti suoi (Big Black, Rapeman e Shellac) e centinaia di produzioni (Jesus Lizard, Don Caballero, Pixies, Nirvana, Dazzling Killmen e financo gli italiani Uzeda e Zu) ha definito più di chiunque altro il suono del rock rumoroso di vent’anni fa, asciutto e metallico. Una figura tanto influente che se non fosse esistito lui, giusto per fare un esempio a caso, del Teatro degli Orrori non resterebbe che la dentiera di Capovilla.

Il suono di questo disco è quello lì, e rispetto agli album precedenti dei Cloud Nothings i pezzi più dilatati e ariosi. Senza dubbio un disco passatista e retromaniaco, con coordinate tra Wipers e l’emo della Jade Tree (ma soprattutto Cap’n’Jazz). Un paio di tracce uggiose (‘No Future/No Past’, ‘No Sentiment’), un trittico melodico di tutto riguardo (‘Fall In’, ‘Our Plans’, ‘Cut You’), e a spiccare i nove minuti della tesissima ‘Wasted Years’ (“I thought I would be more than this”, urla Baldi, e siamo tutti con lui). Parliamoci chiaro, negli anni che furono si è sentito di meglio e i Cloud Nothings non sono certo i Fugazi. Tuttavia questo è il primo dischetto pop-rockapprezzabile del 2012.

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