CARBOSULCIS, UN MORTO CHE CAMMINA?

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di Valentina Parasecolo

 

La Carbosulcis sorge tra le campagne dell’Iglesiente in una tra le province più povere d’Europa. La miniera è l’ultima che produce ancora carbone in Italia. Un carbone che vale poco ma che continua a essere venduto all’Enel senza riuscire ad appianare i debiti.

 

Nella zona gli abitanti la vedono come un’industria di Stato che succhia soldi pubblici. «Per come è – spiegano sia giovani di Carbonia, sia di Iglesias – andrebbe chiusa. Il Sulcis deve puntare ormai su altro, come il turismo.» Che non sia economicamente sostenibile lo pensa anche l’Unione europea. La Commissione ha aperto due inchieste e una procedura d’infrazione per aiuti di Stato. Il fantasma di una sanzione milionaria aleggia da mesi e la Regione spinge per concordare con i sindacati un piano di dismissione da attuare entro il 2027.

 

L’incapacità della società di presentare piani credibili dal punto di vista economico, ambientale e innovativo è all’origine della diffidenza della Commissione contro la quale la Regione ha presentato ricorso. Eppure i dipendenti, o almeno alcuni di loro, non vogliono passare per parassiti. Elisabetta Fois, giovane ricercatrice, operaia e sindacalista, sottolinea che un brevetto europeo per la Carbosulcis porta la sua firma e quella di altri dipendenti dall’ottimi curriculum. Con la loro ricerca quel carbone povero potrebbe diventare utile per creare fertilizzanti. Buono sarebbe il margine di guadagno e già un noto produttore si sarebbe interessato all’acquisto.

 

Perché non sperimentarla per la produzione in larga scala? A fare resistenza sarebbe in primo luogo la dirigenza. Mario Porcu (che ha disdetto la sua intervista a pochi minuti dall’appuntamento) è direttore generale della Carbosulcis e presidente del centro di ricerche Sotacarbo, oltre che consigliere comunale a Carbonia. Un doppio incarico visto con sospetto da alcuni dipendenti che rilevano il conflitto di interessi: «La ricerca viene promossa solo in Sotacarbo mentre noi, anche potendo, non riusciamo a presentare piani innovativi».

 

Brevetti a parte, un piano che ha l’ambizione di guardare al futuro ci sarebbe e riguarda tutta la zona. Si chiama Piano Sulcis. Fu voluto lo scorso anno dai ministri Corrado Passera e Fabrizio Barca e prevede, tra l’altro, la creazione di un polo per l’energia pulita con prospettive occupazionali per i lavoratori. In molti parlano di “fuffa”. Salvatore Cherchi, ultimo presidente della provincia di Carbonia Iglesias (oggi commissariata) e coordinatore del Piano, spiega che il Governo e la Regione sono responsabili dei forti ritardi.

 

Mentre ci si interroga sulla riconversione della Carbosulcis, sono state aperte indagini per abuso di ufficio e danno erariale su dirigenti ed ex componenti del consiglio di amministrazione (spunta anche il nome del già citato Mario Porcu) per aver autorizzato l’acquisto di beni e servizi scavalcando le procedure di evidenza pubblica. Un’ombra ulteriore sul già travagliato destino di una zona che fatica a trovare la sua vera identità.

 

«Il Sulcis – racconta un giovane di Carbonia – in primo luogo deve fare i conti con le resistenze che ha in sé. Siamo un popolo duro e inerte come le rocce che abbiamo scavato per secoli. Nell’Ottocento ci facevamo sfruttare dai francesi, oggi ci facciamo sfruttare dai capetti locali, domani forse da un ricco arabo che si ricomprerà le coste. Mi chiedo quando cominceremo a decidere da noi. Dovremmo gestire con lungimiranza e rispetto tutta la bellezza che abbiamo intorno.»

 

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