barletta 1 copia

di Alberto Gioffreda

Cucire per meno di cinque euro l’ora, lavorare in uno stabile che potrebbe cadere da un momento all’altro. Guardare i soccorritori scavare tra le macerie, pensare che poteva essere una strage (non ho mai capito da che numero in poi di vittime si possa parlare di strage, l’eterno dilemma se una vita ne valga quanto dieci, cento, mille). Aver visto le foto di quel laboratorio tessile e di quella palazzina, immaginando che quelle mani che muovevano ago e filo fossero nate in Cina, in India o in Africa.

Vecchio retaggio dell’uomo, quello bianco, che si meraviglia se tutto questo è invece a pochi passi da casa sua, nel suo paese. Incredulo perchè il suo paese frequenta il G8 (per quanto con questi continui declassamenti per partecipare alla prossima riunione forse ci dovrà essere un allargamento notevole), è tra i più industrializzati al mondo. La città ha quasi 100000 abitanti e non puoi pensare che ci sia un così scarso controllo sulle basilari norme dell’edilizia. Hai la convinzione che qui ci siano i sindacati che potrebbero denunciare alcune situazioni, che gli imprenditori (o più spesso impresari) abbiano un minimo di coscienza, dettata magari da quel cattolicesimo che ogni domenica li conduce nella cattedrale di Santa Maria Maggiore o nella chiesa di San Giacomo a sentirsi dire ‘ama il prossimo tuo come te stesso’.

Ma tutto in fin dei conti finisce con un amen e le rovine di Barletta non hanno lo stesso appeal di Amanda e Raffaele, la CBS e la CNN non ci sono. E nelle prossime statistiche sulle ‘morti bianche’ bisognerà ricordarsi di mettere un ‘più tre’. Perchè le tre operaie lavoravano in nero e nei conti dell’Inail non rientreranno. Intanto Sergio (Marchionne) e Emma (Marcegaglia) litigano. Qualcuno potrebbe pensare che non siano d’accordo sulle condizioni del lavoro in Italia. Non vi preoccupate, niente di tutto questo. Per loro le regole e il loro rispetto uccidono solo lo spirito di impresa.

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