Il conflitto arabo-israeliano

di Elisabetta Terigi

In pochi ne parlano in Italia. Eppure è di nuovo alta la tensione in Medio Oriente tra palestinesi e israeliani: ventisei morti in quattro giorni. Succede nella Striscia di Gaza, presa ancora una volta di mira da Israele. Delle vittime cinque sono civili, riporta l’inglese Guardian. Tra di loro un ragazzo di sedici anni. In risposta, centocinquanta razzi (secondo Il Foglio; centotrenta per il Guardian; quasi trecento secondo Haaretz) sono partiti dalla terra palestinese contro Israele, dove non ci sono state vittime, ma solo danni a case e edifici. Grazie al sistema anti missili Iron Dome, costoso quanto efficiente, Israele ha limitato i danni. Due razzi hanno colpito Gedera, a sud di Tel Aviv ed un terzo ha centrato e danneggiato un edificio nella città di Ashodod causando il leggero ferimento di una donna.

Tutto è cominciato un venerdì. Il nove marzo in uno dei raid israeliani è stato ucciso Zuhair Qaisi, il segretario dei Comitati di resistenza popolare, che secondo Israele stava preparando un attentato nel Sinai. Le forze israeliane hanno deciso allora di colpire Gaza per prevenire l’attacco. I comitati, di cui Qaisi era il leader, sarebbero stati anche i responsabili del rapimento del soldato israeliano Gilad Shalit, liberato nell’ottobre scorso dopo cinque anni di prigionia. Un passato che non vuole passare, un presente di guerra che sempre ritorna. Dopo un fine settimana da incubo, da oggi, grazie alla mediazione egiziana, a regnare è il cessate il fuoco.  Almeno così sembra.  Le notizie infatti sono alquanto contraddittorie. Se l’Egitto inizialmente si è fatto mediatore arrivando a un parziale accordo nella notte, poi ha lanciato messaggi in netta controtendenza.

Il passo indietro egiziano e Israele che diventa nemico. Nella mattinata di martedì 13 marzo infatti l’Assemblea Popolare, ossia la Camera Bassa del parlamento egiziano ha votato per l’espulsione dell’ambasciatore israeliano dal paese e ha chiesto il ritorno dell’ambasciatore egiziano da Tel Aviv. A questo gesto, quanto mai significativo è seguito un altrettanto eloquente commento scritto nel documento redatto dalla commissione affari arabi del parlamento: «Dopo la rivoluzione l’Egitto non sarà mai più amico dell’entità sionista, primo nemico dell’Egitto e della nazione araba». Si chiede quindi la revisione «di tutti i rapporti e gli accordi» con quel «nemico».

 A questo punto è legittimo chiedersi quale sia il futuro per Israele e Palestina. Due Stati, due popoli, ma una sola terra.  Sempre stato così, dal maggio del 1948, ma ora Israele si ritrova sempre più solo. Nonostante Gerusalemme abbia chiesto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la condanna dei razzi palestinesi, ancora non c’è stata risposta.  Ron Prosor, ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, ha inviato anche una lettera al Segretario Generale dell’ONU Ban Ki Moon che ha il sapore dell’amarezza. «Gli attacchi di Gaza mettono in pericolo le vite di un milione di Israeliani e proibiscono a 200.000 bambini di andare a scuola. Il Consiglio di Sicurezza non ha speso nemmeno una parola di condanna per questi attacchi». Ferma la voce invece dei leader politici israeliani. Continuano a combattere la battaglia in difesa dello stato ebraico. Il primo ministro Benjamin Netahjahu ha dichiarato: «Il nostro messaggio è: la calma porterà la calma. Chiunque la violi o tenti di violarla, troverà le nostre pistole».

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